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Esiste o non esiste la PAS? Una lettura critica

PAS
Psicologia Giuridica

Esiste o non esiste la PAS? Una lettura critica

Maria Rita Accatino

Psicologa giuridico forense, Psicoterapeuta

Sono molti anni che si dibatte su questa tematica, ma i tentativi di condizionare la relazione del figlio con l’altro genitore o il rifiuto espresso da un figlio nei confronti di uno dei genitori sono eventi che da sempre esistono e continuano costantemente a verificarsi. Indipendentemente da come, a seconda dei epoche, verrà definito l’evento. Oggi, come 40 anni fa… e chi lavora come CTU ne può essere testimone. 

Sono infatti 40 anni che mi occupo di divorzi e separazioni, sia svolgendo Consulenze Tecniche di Parte che d’Ufficio per il Tribunale di Roma, che come psicoterapeuta, e per questo mi sono confrontata nei decenni con l’avvicendarsi delle diverse formulazioni del diritto di famiglia e della psicologia giuridica sulle varie problematicità separative e divorzili. 

La definizione

La definizione di PAS è ad esempio una definizione recente nel tempo, che è stata molto  dibattuta dagli operatori del settore. In termini di una diffusa e controversa dialettica e di una prolifica teorizzazione scientifica… una definizione che è stata usata in maniera pressante e stentorea per un periodo di alcuni anni e ha comportato l’applicazione di rigide prassi d’intervento.

Ma dopo tanto dibattere non le è poi stata attribuita la dignità di “Sindrome” ed è quindi stata giudicata totalmente inadeguata sotto il profilo tecnico. La sentenza della Cassazione e la pronuncia dell’ordine degli psicologi ne sono l’espressione più evidente.

A volte, criticamente, penso che a noi tecnici del settore faccia comodo utilizzare un deresponsabilizzante incasellamento teorico, per avere rassicuranti luoghi comuni da citare e fare propri. 

Ricordo ad esempio quando venivano utilizzati gli “indicatori di abuso” per perseguire ed individuare, tout court, presunti abusi sessuali.

Solo in seguito è stato valutato che non erano meccanicamente riferibili ad abusi sessuali molti di quei comportamenti che esteriormente apparivano come tali.

Infatti già nella prima stesura del 1996 della Carta di Noto, l’art.9 citava

Deve tenersi conto che la sintomatologia da stress riscontrabile in bambini abusati è in genere rivelata da indicatori psico-comportamentali aspecifici, che, in quanto tali, possono rappresentare risposte a stress diversi dall’abuso quali, per esempio, quelli dovuti a conflitti o disagi intrafamiliari. 

E numerosi errori di valutazione sono stati compiuti prima della formulazione di questa nuova concezione dell’abuso. 

Ho conosciuto, nel corso della professione, diverse persone che hanno vissuto drammi per addebiti di questo tipo; generati da errate oppure distorte valutazioni, quando non volontariamente adombrate a fini separativi. 

Infatti in particolari od aspri contenziosi familiari sono state mosse strumentali accuse di questo tipo; accuse rispetto alle quali solo una seria professionalità poteva fare chiarezza; accuse che comunque hanno implicato e implicano un coinvolgimento dannoso del minore il quale, in quanto presunta vittima, sarà valutato ed inserito in un serrato contesto giudiziario

E quindi oggi anche l’acronimo PAS (Parental Abuse Syndrome) mi è apparso contenutisticamente avere questa funzione di incasellamento teorico; in una società che in maniera acritica vede nell’ultima “proposta tecnica”  la rappresentazione di una nuova assoluta verità. 

 

Il dramma del genitore negato

Da sempre però, e quindi da molto prima che esordisse la definizione del concetto di PAS, ho avuto modo di affrontare professionalmente il dramma di genitori che venivano rifiutati senza reali e concrete spiegazioni dai figli, senza alcuna apparente e sostenibile motivazione, sia implicita che esplicita. In modo rigido e inappellabile e senza opzioni per il futuro; come solo i bambini sanno fare.      

E non c’era ancora l’opzione che oggi riconosce come soluzione preferibile per la salute psicologica di un minore l’istituto dell’“affidamento condiviso”. C’era infatti all’epoca la pronuncia di un “affidamento monogenitoriale”.

E agli esordi delle separazioni le “modalità di visita” erano indicate in maniera generica e spesso presupposte da un ”preavviso” di 24h prima.. con inenarrabili conseguenti difficoltà nella realizzazione degli incontri. 

Con il tempo pur in maniera non paritetica le modalità di visita furono ampliate nei dispositivi e furono fatti i primi affidamenti ai padri. Un percorso progressivo che ha portato fino alla attuale definizione della necessità di una condivisione della funzione genitoriale e di una paritetica suddivisione dei tempi di permanenza.

Ciononostante anche oggi, come 40 anni fa, continua a verificarsi che una interpersonalità tra genitori e figli possa diventare improvvisamente nulla; spesso è circoscrivibile temporalmente con l’inizio di uno specifico e definibile periodo di crisi della storia familiare e di coppia.

Un periodo ascrivibile cioè ad una peculiare interferenza a carico della realtà relazionale esistente all’interno del nucleo familiare, segnata, se non amplificata, da un allontanamento conflittuale dei genitori. Genitori i quali spesso diventano acriticamente ed irresponsabilmente mossi dal desiderio di cancellare dalla propria vita un ex partner; anche quando si cancella il genitore di un figlio. Perché l’ex interferisce con la nuova vita che si vuole vivere o perché fa ancora troppo dolore.

E così viene attribuita anche alla realtà affettiva di un figlio la stessa “spigliatezza” salvifica con la quale loro stessi hanno archiviato un legame. Oltre ad intervenire anche la definizione di un meccanismo mentale che implica una sovrapposizione della figura dell’ ex partner con quella di genitore. E se, quindi, il partner è stato un partner incapace, lo diventa automaticamente anche come genitore. E per questo è bene tenerlo lontano.

In questi casi le dimensioni della “relazione oggettuale”, come quella dell’affettività nella sua accezione più ampia, diventano dimensioni non riconosciute e alle quali non viene da alcuni neppure attribuita significativa importanza ai fini evolutivi. 

Accade perciò che i figli stessi, attraverso l’interazione con il genitore predominante, imparino ad appropriarsi di queste sovrapposizioni dei ruoli, senza riuscire a compiere una propria lettura differenziata. Arrivando così a negare e rifiutare un genitore, talvolta anche per tacitare gli echi dei conflitti di lealtà. Secondo disfunzionali dinamiche interattive che di conseguenza incideranno sulla armonica crescita emotiva ed affettiva di un minore, che indurranno anche alleanze con caratteristiche di tipo simbiotico.

E’ veramente doloroso osservare in questi casi la sofferenza che vive chi esperisce una vanificata interpersonalità genitori\figli; una interpersonalità che il padre o la madre non sanno come poter ricostruire e in che modo ricostruire.

 

L’importanza dell’accoglienza e del sostegno psicoterapeutico

È infatti di assoluta importanza che uno psicoterapeuta accolga e sostenga psicologicamente il dramma di chi non sa in che maniera e nella pratica rispondere a quei rifiuti,  che vengono vissuti anche giornalmente sulla propria pelle: rifiuti che come genitore ti lasciano sconfitto, indeciso e senza parole, umiliato. 

Perché l’affettività provata nei confronti di un figlio è una emozione intensa che tocca l’individuo nel profondo; perché rispetto alla dimensione dell’amore per un figlio si diventa particolarmente vulnerabili e reattivi; perché si è anche consapevoli che replicare ai rifiuti in modo sbagliato o carico di rabbia farà ottenere risultati contrari a quelli voluti: risultati che poi verranno implicitamente usati da quel genitore che, invece di essere “partner di ruolo”, cercherà di utilizzarli per rinforzare la cooptazione ed il rifiuto.

Come genitore lontano si valuta con enorme preoccupazione quello che sarà il futuro psicologico di un figlio, che cresce con la carenza e la negazione di una fondamentale figura genitoriale. E si pensa a come evolverà la sua crescita psicologica, si pensa a come il figlio, quando sarà adulto, sarà in grado di costruire e vivere le sue relazioni affettive. Come vivrà il suo complessivo approccio alla vita ed al mondo sociale.

Va quindi considerato che nei fatti il genitore che subisce un allontanamento si  trova come incatenato, senza risposte e soprattutto senza strategie da attuare nell’affrontare questo rifiuto.

Ed allora si ricorre ad Internet per sapere di più, ma si trovano solo risposte generiche, orientative e spesso confusive: e si resta quindi, di fatto, senza soluzioni pratiche da utilizzare. Proprio perché ciascun individuo ha spesso un estemporaneo ed urgente bisogno di  sapere “ORA” che cosa fare; in particolare, quando lo scoraggiamento prevale sulla razionalità, ed il tempo scorre sovrano e senza riferimenti.

Ci si confronta anche con altri genitori che vivono lo stesso problema, ma sono confronti spesso sterili in cui, anche se si condividono il dolore e la rabbia, quasi mai vengono individuate strategie e comportamenti attuabili o congrui con il caso specifico. Perché sono solo “di pancia”, oppure perché mediate dalla rabbia e quindi irrazionali. Talvolta comportando esiti che rendono ancor più disfunzionali le dinamiche presenti.

E’ più che mai in questo momento di fondamentale importanza che il genitore che attraversa un simile problema inizi a fruire di un sostegno psicologico; di un percorso che lo aiuti cioè e a gestire il proprio dolore e ad articolare in modo congruo le risposte da dare ai figli, rispetto ai diversi specifici che possono evidenziarsi. 

Nella premessa della realtà di questa sofferenza, proprio per individuare responsabilmente la genesi delle difficoltà, appare essenziale affrontare una lettura analitica del problema relazionale nel quale il genitore negato si dibatte. E’ una lettura che dovrà tenere conto delle individualità di ciascuno oltre che della qualità della interazione che ha fondato la dinamica di coppia; ciò proprio in ragione della unicità che ogni situazione possiede. 

Questa fase conoscitiva anche dovrà essere fondata su una ricerca anche autocritica; una ricerca che aiuterà a comprendere ed a riconoscere la genesi delle difficoltà, a decodificare le disfunzionali dinamiche familiari ed interpersonali che l’hanno generate: che condurrà anche alla consapevolezza dei propri errori.

 

La erronea pratica dell’allontanamento del minore dal contesto familiare

E per questo ritengo che il problema non possa essere affrontato riduttivamente utilizzando i luoghi comuni o le prassi standardizzate proposte da alcuni operatori del settore. Ogni caso è un caso a sé e va contestualizzato in ragione della sua originalità.

Credo infatti che il meccanicismo di certe scelte teorizzate e, purtroppo agite nella pratica, non possa comportare come per una equazione risultati positivi e stabili. 

Per esempio le indicazioni di Gardner, per le quali per vincere un rifiuto è importante interrompere la rete di condizionamento indotta da un assetto relazionale prevalente ed inserire il bambino in un ambiente neutro. 

 Una “ casa famiglia” quindi, sarebbe il luogo ove attuare un intervento psicologico e ricostruttivo della dimensione affettiva e relazionale del minore col genitore rifiutato.

Senza reiterare le ormai note critiche sulla genesi storica della Pas e sul suo approccio pratico di intervento, osservo prioritariamente che la prassi suggerita appare assolutamente dannosa. Per certi versi la ritengo anche culturalmente incongrua con l’assetto specifico della cultura familiare italiana, con la qualità delle nostre relazioni familiari. In termini antropologici.

Innanzitutto considero che un allontanamento non può assimilarsi allo spegnere o accendere un interruttore elettrico; e non si può quindi dare per scontato che un allontanamento porti meccanicamente ad un profondo cambiamento in positivo; seppure saranno attivati percorsi di tipo psicologico.

Inoltre è da considerare che le dinamiche interne ad una” casa famiglia”- un contesto che ospita minori che provengono da situazioni altamente disagiate e aspre sul piano esperienziale, nel percorso che va dalle misure ablative della potestà genitoriale sino all’adozione o all’affidamento familiare- comporterà il fatto che la realtà personale e psicologica dei suoi ospiti sarà portatrice di un vissuto e di esperienze di vita che si discosteranno molto da quelle dei bambini provenienti dall’ etichettamento della alienazione genitoriale: perché involontari portatori di modalità interattive, sociali e culturali fisiologicamente diverse. E proprio questa differenza potrà condurre all’evidenziarsi di fenomeni di sopraffazione tra pari, con conseguenze che rischieranno ancor più di creare sofferenza psicologica e rinforzare i rifiuti, strutturando e qualificando ben precise risposte e scelte comportamentali

È pertanto realisticamente conseguente considerare il fatto che un bambino il quale vive in una condizione di vita “normale e regolare” ed ha la sua stanza, i suoi giochi, la sua socialità, il suo habitat domestico, e sperimenta regolari relazioni parentali ed amicali, subirà l’inserimento in casa famiglia come una violenza, come un rapimento immotivato, ed incolperà il genitore che ha indotto la misura dell’istituzionalizzazione, vivendolo come un persecutore.

Per esperienza professionale ho potuto osservare che i minori in questo caso si chiuderanno ancor più rispetto al recupero di una interpersonalità positiva con il genitore rifiutato e “colpevole” dell’istituzionalizzazione. Quando non subiranno per estenuazione o per istinto di sopravvivenza l’interazione con il genitore rifiutato e magari rappresenteranno un solo apparente ristabilirsi della relazione. 

È difficile infatti che attraverso una esperienza di questo tipo si recuperi nel profondo e nel tempo una interpersonalità reale e stabile.

 

Ruolo della conflittualità di coppia nell’alienazione parentale

Nei miei lunghi anni di esperienza sono arrivata ad osservare che esiste una categoria di allontanamento\rifiuto di un minore nei confronti di un genitore che è il prodotto di dinamiche interattive che si configurano come “a metà” tra una alienazione genitoriale piena e più o meno consapevolmente indotta, ed il rifiuto che nasce da una storica e reale inadeguatezza o problematicità esplicita dell’interazione con il genitore rifiutato.                                       

E’ forse questa la connotazione più usuale e frequente nell’ambito delle conseguenze della conflittualità familiare rispetto alle quali non possono perciò essere usati luoghi comuni e generalizzazioni, anche nei metodi per approcciarla.

E’ questa frequentemente una alienazione\rifiuto che viene sorretta da una induzione negativa non di rado implicita e secondaria, ma inconsapevole , operata da un genitore.

Un genitore che indurrà anche inconsapevolmente il figlio ad enfatizzare dentro di sé la conflittualità familiare o la scelta di proteggere il genitore che egli minore considera come apparentemente il più debole o quello abbandonato. 

Una induzione agita da un genitore il quale non nasconde sufficientemente il proprio disagio e criticità nei confronti del partner di ruolo: perché giudica le inadeguatezze comportamentali o le frustrazioni che il genitore rifiutato ha dato e dà al figlio, anche in termini di sicurezza.

Del resto, molto influisce sull’esclusione il fatto che alcuni genitori valutano come imprescindibile che il partner di ruolo attui con il figlio la personale concezione di prassi educativa e gestionale che loro possiedono. E viene trasmessa questa concezione al figlio, che la fa propria.

Ciò per non citare ancora quanto una problematicità di puro ordine psicologico e\o psichiatrico insista sulla genesi della costruzione del rifiuto di un genitore. Sia dell’alienato che dell’alienante. Perché in molte problematicità e disfunzionalità relazionali interviene in modo significativo quanto attiene un disturbo psichico di un genitore.

Sono quindi tante e poliedriche le motivazioni che sorreggono e qualificano il problema; per questo, si ripete, che nell’affrontarlo è sostanziale usare un attento metro di lettura: per approfondire senza massificare le ragioni e le dinamiche e le modalità da utilizzare per affrontare un rifiuto, oppure una alienazione genitoriale, o entrambe le cose insieme. 

Perché solo così potranno essere definite le prassi più appropriate per contrastare le problematicità collegate ad un’autentica alienazione oppure per costruire in modo mirato il recupero o la ricostruzione di una inesistente o carente relazione affettiva.

 

Cause e concause

Premessa questa discussione, si ripete che è necessario che nella volontà di trovare una spiegazione a certi rifiuti di un figlio, sia anche compiuta seriamente e da parte del genitore “alienato”, una disamina autocritica rispetto alla qualità dei personali comportamenti mantenuti nei confronti del figlio stesso.

Non è infatti da sottovalutare che non di rado la negazione di una interazione deriva dall’inasprimento di un vissuto relazionale, già profondamente carente sin dalle sue origini. 

E’ una negazione questa che conclama un rifiuto del genitore come esito finale; perché è di fatto sostenuta, e nel profondo, da una disfunzionale e complessiva carenza emotiva ed interattiva, da uno scambio affettivo in cui non è presente una empatizzazione né la capacità di accogliere e rispondere ai bisogni psicologici di un figlio. Un genitore che, quindi, proprio per la sua inadeguata partecipazione emotiva non è in condizione interiore di diventare un “genitore psicologico”. 

E se nella valutazione tecnica di questa difficoltà relazionale è spesso da considerare, tra le diverse tematiche cliniche, quanto l’esclusione vissuta si conformi come un rifiuto indotto da un “partner di ruolo”- che non intende essere tale e cerca l’esclusività di un figlio (certamente però non anche economica, perché il denaro si vuole sempre)- va tenuto ben presente nella lettura delle dinamiche che questo rifiuto è altrettanto spesso l’esito di una difficoltà interattiva, che sebbene inaspritasi in ragione della conflittualità conseguente ad una separazione dei genitori, deriva da più concause. Concause e cause che ulteriormente cercheremo di citare.

E così semplicemente il rifiuto potrebbe essere stato generato dall’aver proprio il minore imparato ad identificare il genitore come ex coniuge e magari sentirsi costretto a vivere scelte di campo per conservarsi un affetto… tanto l’altro genitore c’è sicuramente.

Va ricordato però anche che talvolta un bambino può attuare attraverso il rifiuto di un genitore il tentativo di ricostituire la comunicazione nella coppia genitoriale che per questo suo provocatorio tentativo dovrebbe in qualche modo confrontarsi e comunicare; come invece non succede, non è mai successo. Perché ciascun bambino desidererebbe tanto vedere e sentire accanto a sé una coppia di genitori che comunicano per il suo interesse.

Ma si rileva anche che il rifiuto può essere sostanziato da una situazione che vede un figlio possedere un vissuto relativo ad una relazione con il genitore rifiutato che è stata caratterizzata da una affettività insicura, labile o abbandonica.

Se non quando un figlio, e non di rado, ha assistito ad un genitore che ha assunto davanti a lui minore comportamenti minacciosi o spiacevoli sia nei riguardi suoi che dell’altro genitore. Ha assistito ai comportamenti di un genitore che non ha evitato l’utilizzo, senza filtri, di spiacevoli e aggressivi modi di esprimere le proprie insoddisfazioni o delusioni sull’Altro genitore.

  • Perché tanti adulti non pensano che queste espressioni non passano sul minore, scivolando via, perché “è piccolo e non capisce”, oppure perché “tanto sa tutto”. L’esperienza di un vissuto in cui si è assistito o sono stati direttamente subiti maltrattamenti anche lievi, psicologici oltre che fisici, vengono ricordati dal bambino con sofferenza e paura ed attivano la risposta della negazione. 

Anche quando uno dei due genitore va in “trigger”, perché l’intensità emotiva conseguente alla separazione e alle difficoltà lo induce a risposte emotive e difensive esagerate, pur se esiste di fondo una valida capacità affettiva in un contesto di tipo diadico.

E sono proprio tutte queste le condizioni che sostanziano e differenziano la definibilità e la genesi di un rifiuto; un rifiuto che non è pertanto definibile come esito di induzione o manipolazione di terzi.

 

Distinguere tra Alienazione parentale e Rifiuto

Mi sembra perciò importante, discutendo su questo tema, iniziare a costruire un distinguo tra quella che si continua a definire “ alienazione parentale” e” rifiuto”. 

Perché pur se il risultato è lo stesso, il rifiuto è in sintesi sorretto da una negazione conformatasi sulla scorta di dolorose esperienze del passato. 

Mentre l’alienazione presuppone l’insussistenza di specifiche o significative reali difficoltà interpersonali ed è strutturata da una coartazione e suggestione indotta da uno dei genitori sul figlio. E così ogni affermazione risulta superficiale, banale, illogica.

Credo a questo punto, a fronte di un invito al genitore rifiutato ad attivarsi rispetto alla ricerca di un equilibrio interiore e a maturare una volontà di porsi auto criticamente rispetto alle proprie  azioni e scelte, che sia opportuno cercare di individuare soluzioni su cui fondare e dosare le proprie reazioni e repliche.

Perché, infatti, qualora esistano carenti relazioni interpersonali il genitore rifiutato dovrà lavorare al recupero o alla costruzione di una solida interazione con il figlio: fatta di gratificazione affettiva, condivisioni di attività ed interessi, rassicurazioni senza incolpare il partner di ruolo per ridurre le proprie responsabilità.

Ma spesso e purtroppo, il genitore rifiutato non si interroga rispetto a possibili motivazioni attribuibili a propri errati comportamenti, proiettando ogni addebito sul partner di ruolo deficitario, attribuendogli l’induzione degli atteggiamenti del figlio. 

Ben altro capitolo è infine quello che comporta le individuazione e scelta degli interventi da attuare per recuperare una relazione genitore\figlio inesistente o pesantemente interferita.

Va infatti precisata realisticamente la gestione del ruolo professionale di chi si occuperà del problema in termini pratici oltre che decisionali, la consapevolezza morale delle scelte che saranno fatte, le ricadute che le determinate soluzioni indicate comporteranno per primi sul bambino; nella sua individualità specifica. 

Perché :

si è diversi gli uni dagli altri, e non solo nella storia personale ma anche nel modo di manifestare e vivere le proprie emozioni, in stretta relazione anche col contesto sociale di riferimento; 

le motivazioni su cui si sorregge ogni storia di coppia e ogni motivo del lasciarsi sono diverse, così come sono diverse e di diversa caratterizzazione le realtà psichiche individuali degli adulti significativi;

i figli avendo diverse età e bisogni evolutivi devono avere un genitore in grado di accogliere questi bisogni e di comunicare congruamente e in modo gratificante con queste differenziazioni.

Purtroppo però va considerato che molti interventi professionali su queste tematiche, anche sul piano pratico e decisionale, sono stati e sono condotti in nome di teorizzazioni e luoghi comuni.

E’ vero però che le informazioni su cui vengono articolati pareri e scelte sono condizionate da più elementi, elementi che non solo sono correlabili alla capacità professionale di un operatore ma anche alla sua onestà intellettuale e perché non al vissuto individuale.

E’ per questo motivo che provocatoriamente osservo che, come per gli psicoterapeuti,  sarebbe importante per chi si occupa di queste tematiche prevedesse nel suo iter formativo un percorso di analisi individuale: per imparare un distanziamento emotivo reale e non creare condizionamenti attraverso gli echi di personali vissuti.

Spiace considerarlo, ma taluni colleghi in modo impeccabile solo sotto il profilo teorico, nella valutazione di un rifiuto si riportano purtroppo in modo quasi standardizzato a dettati di manuali; assumendo anche la presenza di una incapacità allevatoriale del genitore che non è rifiutato perché non saprebbe gestire il figlio… anche nei casi in cui esistono maltrattamenti diretti o assistiti, serie inadeguatezze relazionali del genitore rifiutato. In nome di una “bigenitorialità” ad oltranza.

In una sottovalutazione frequente del fatto che proprio un minore che ha assistito ad un clima reiterato di violenza familiare, magari anche in situazioni di denunce per maltrattamento che ha implicato la definizione di un “codice rosso”, comportando anche l’applicazione di quelle misure che sono sorrette dalla Carta di Istanbul e dalla Convenzione dell’Aja, non di rado rappresenta paura e rifiuto nei confronti del genitore violento.

Pertanto se la Carta di Istanbul del 2011 e dell’Aja non prevedono tentativi di mediazione o interlocuzione tra le Parti proprio a tutela della vittima della violenza, appare contraddittorio riferirsi ad una incapacità allevatoriale della stessa …

Ci sono moltissime altre ragioni e spiegazioni oltre queste citate, e la loro ricerca va condotta con seria professionalità e metodo , oltre che in una maniera intellettualmente onesta e, perché no. umana.

Perché questo nostro è un lavoro che per sua finalità deve accogliere la sofferenza della situazione individuale o familiare che andiamo a leggere, riconoscendo anche la diversità delle molteplici realtà personali e sociali che andiamo a gestire. 

Uscendo dal luogo comune e cercando di leggere il dolore, che esiste oltre le teorizzazioni.

 

Maria Rita Accatino

Psicologa Giuridica e Forense. Psicoterapeuta.

Iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio, sezione A, n. 1817.

Iscritta all’Albo dei Consulenti Tecnici e dei Periti d’Ufficio del Tribunale Civile e Penale di Roma, del Tribunale per i Minorenni di Roma e della Procura di Latina.

Commenti (3)

  1. Helen Filomena Aguilar pecho

    Buongiorno dottoressa sono una regazzo che lavora da tanto con la sra de via chiana 87 Rita Latini vorrei una consulenza con lei una problematica con mia figlia

    1. silvana.branciforti

      Buongiorno signora Latini, mi scusi per il ritardo alla risposta.,
      Le lascio i miei riferimenti per accordarci: silvana.branciforti@asst-fbf-sacco.it.
      Cordiali saluti
      Dott.ssa Silvana Branciforti

      1. silvana.branciforti

        Buongiorno mi scuso per l’invio errato del messaggio precedente che ho letto erroneamente rivolto a me non essendo avvezza al forum.
        Cordiali saluti

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