Blog

Ultimi Commenti

Isolamento, restrizione carceraria e aumento suicidiario

pexels-fernando-cabral-1931511-3554376
Psicologia Giuridica

Isolamento, restrizione carceraria e aumento suicidiario

Elena Diana, psicologa giuridica e forense, giudice onorario c/o il Tribunale di Sorveglianza di Milano, professionista delle Rete di Psicologia in Tribunale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità a partire dall’anno 2003 ha istituito il 10 settembre come  “Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio” o altrimenti detta #WorldSuicidePreventionDay con l’obiettivo di richiamare la sensibilità pubblica su un tema tanto delicato quanto sottaciuto e con l’intento di promuovere azioni di prevenzione e contrasto ad un fenomeno sempre più  dilagante nella popolazione mondiale.  

Diversi i filoni di pensiero che si susseguono in letteratura nell’interpretazione analitica del fenomeno, così come numerosi sono gli studi che cercano di identificarne i fattori di rischio e  predittivi. 

Dai fattori socio-demografici (tra i più noti, l’isolamento sociale, il basso livello socio-economico e la  bassa scolarità, lo stato di disoccupazione, la presenza di violenza domestica e abusi infantili fisici e  sessuali e la familiarità per comportamenti suicidari), a fattori ambientali e biopsicosociali (ad  esempio, disturbi mentali, alcolismo e abuso di sostanze stupefacenti, tendenze impulsive e/o  aggressive, storie segnate da eventi traumatici e stressanti, pregressi tentativi suicidari,  l’hopelessness, letteralmente “senza speranza”, quale costrutto psicologico correlato ad aspettative  nega:ve verso il futuro nonché terza componente della triade negativa del modello cognitivo della  depressione di Aaron T. Beck (1976), altamente correlata all’intenzionalità suicidaria) ed infine fattori  socio-culturali (come l’assenza di una rete sociale di supporto, ostacoli negli accessi alle cure,  esposizione con effetto di contagio all’influenza dei mass media). 

Indubbiamente investire su progetti di prevenzione aiuterebbe a frenare i numeri in crescita e a contenere i costi della spesa pubblica, ma quanto è stato fatto finora? Ampliare il ventaglio delle  nostre conoscenze sull’argomento, intercettare precocemente segnali di allarme mettendoci in  ascolto dell’altro fino ad accompagnarlo nella ricerca di aiuto rappresentano sicuramente i primi passi da compiere. 

Le statistiche più recenti offrono una fotografia allarmante del fenomeno, registrando tassi di  mortalità per suicidio in significativo aumento. In particolare, nel luglio 2021 vengono pubblicati i risultati di una meta-analisi condotta a partire da 54 studi pubblicati nell’arco del 2020 su  un campione di 308.054 partecipanti che documenta una crescita dei casi di ideazione suicidaria (10,81%), dei tentativi di suicidio (4,68%) e di autolesionismo (9,63%) durante la pandemia da  Covid-19 in rapporto ai valori documentati dagli studi pubblicati prima della pandemia (cit. Justin  P. Dubé, Martin M. Smith, Simon B. Sherry, Paul L. Hewitt, Sherry H. Stewart “Suicide behaviors during the COVID-19  pandemic: A meta-analysis of 54 studies”, in Psychiatry Research, Volume 301, July 2021, 113998). 

Se pensiamo alla pandemia da Covid-19, in particolare alle misure di quarantena collettiva e al  forzato ritiro sociale che, nelle limitazioni alla libertà di movimento, nell’isolamento emotivo e  relazionale, hanno messo a dura prova la stabilità dell’Io fino ad infrangerne la solidità, slatentizzando i fattori di rischio di cui sopra, possiamo osservare una sovrapposizione alla reclusione  protratta da detenzione e quindi ad un crescente rischio di suicidalità.

E se il suicidio rappresenta ancor oggi un tabù tanto controverso quanto proibito, difficile da  estirpare, che si scontra con barriere etico-morali e culturali ancor oggi invalicabili, all’interno degli  istituti penitenziari inizia a prendere voce il crescente numero di episodi di attacco al corpo come  espressione manifesta di un profondo dolore “non detto”, come via d’uscita da una condizione priva  di speranza. Al luglio 2024 si stimano 56 suicidi tra le mura delle carceri italiane a cui si aggiungono 6 agenti di polizia penitenziaria, stante quanto pubblicato dall’organizzazione sindacale della polizia  penitenziaria UILPA.  

La carcerazione rappresenta un’esperienza deflagrante che porta alla deriva l’Io, poiché espone il  soggetto ad una serie di eventi critici che fungono da vettore, nei detenuti più fragili, di azioni  disperate che lasciano un segno indelebile, spesso invisibile, accrescendo la fallacia della società  moderna. 

Essendo i detenuti un gruppo ad alto rischio, esistono procedure di screening e prassi operative ormai consolidate (Linee guida OMS, Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie  nel sistema penitenziario per adulti) che tengono conto dei più noti fattori di rischio autolesivo e/o  suicidario intramurario, tra loro interdipendenti, che permettono di discriminare la natura del  fenomeno, distinguendo la simulazione agita con finalità manipolativa dai tentativi intenzionali, quali soggetti giovani, alla prima carcerazione, in attesa di giudizio, con la prospettiva di una lunga  condanna, isolamento derivato da particolari regimi detentivi, la marginalizzazione, disturbi mentali  e/o abuso di alcol e sostanze psicotrope, soggetti extracomunitari, con tendenze al discontrollo degli  impulsi, con pregressi agiti autolesivi e/o tentativi suicidari, privi di una rete sociale e familiare di  supporto. 

E nello stimare un numero crescente di casi, la politica italiana sembra rimanere paralizzata nella  ricerca della miglior strategia risolutiva. Quale diatriba vincente potrebbe realmente portare ad  incassare risposte concrete volte ad arginare il fenomeno? 

Suggellare modifiche legislative o stanziare fondi per rimpolpare l’organico penitenziario che è  chiamato ad assicurare ordine e sicurezza all’interno delle carceri e la platea di psicologi ed operatori socio-sanitari guidati da un mandato predittivo-probabilistico orientato alla prevenzione degli agiti  autolesivi e/o suicidari?  

Ritenuta la straordinaria necessità di introdurre interventi tempestivi ed urgenti in risposta al  sovraffollamento carcerario e alle condizioni delle carceri, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n. 155 del 4 luglio 20234, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (cd. “decreto carcere”), recante  Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia” che disciplina al Capo I (Disposizioni in materia di personale) l’ampliamento dell’organico del Corpo di polizia penitenziaria (art. 1), al fine di incidere più adeguatamente sui livelli di sicurezza,  di operatività e di efficienza degli istituti penitenziari nonché di controllo sull’esecuzione penale  esterna, un maggior investimento sulla formazione degli agenti di polizia penitenziaria (art. 4), e al  Capo II (Misure in materia penitenziaria, di diritto penale e per l’efficienza del procedimento penale) interventi in materia di liberazione anticipata (art. 5), interventi in materia di corrispondenza telefonica (art. 6), in materia di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei  detenuti (art. 8) e modifiche al codice penale (art. 9) e al codice di procedura penale (art. 10). 

Sembra che la quasi totalità dei suicidi non sia tanto legata a sentimenti di disperazione correlati ad  una lunga condanna bensì alle condizioni attuali della carcerazione in sé (cit. N. Anselmi, D. Alliani, F. Ghini  “Psychophysiology of suicide in prison: a contribution in terms of prevention”, in Rivista di Psichiatria, Novembre-Dicembre 2014, Vol. 49, N. 6) il che lascerebbe supporre la necessità di introdurre interventi ad ampio raggio che  vadano oltre la prospettiva dei benefici penitenziari finora vigenti, tra i quali le misure alternative  alla detenzione. 

Forse la risposta più efficace dovrebbe coniugare politiche di prevenzione che tengano conto ad  ampio spettro dei fattori di rischio e, al contempo, azioni di contrasto che, attraverso il  potenziamento del personale penitenziario e sanitario, in collaborazione multidisciplinare, possano permettere di registrare una significativa flessione dei casi.

Il Tribunale di Sorveglianza ha il compito di decidere, a condanna passata in giudicato, monitorare l’andamento della pena e, eventualmente, variare le misure in base alla nuova normativa che prevede la possibilità di differire la pena in vari modi.
Il corso si prefigge di offrire una panoramica sulle mansioni del Giudice Onorario psicologo o Esperto in ambito penale adulto.
Corso Intensivo On Demand

L’esperto del Tribunale di Sorveglianza

Durata del corso: 4 ore

Lascia un tuo commento all'articolo

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *