Il diritto alla disconnessione: tra benessere psicologico e tutela giuridica nell’era del tecnostress

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Il diritto alla disconnessione: tra benessere psicologico e tutela giuridica nell’era del tecnostress

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Il diritto alla disconnessione: tra benessere psicologico e tutela giuridica nell’era del tecnostress

Nel nostro lavoro clinico e di ricerca, ci troviamo sempre più spesso a confrontarci con i sintomi di un malessere che non ha origine in eventi traumatici isolati, ma in una continua esposizione a pressioni lavorative mediate dalla tecnologia. Parliamo di tecnostress, un disturbo emergente, ormai ben documentato, che si manifesta con ansia, affaticamento cognitivo, insonnia, irritabilità e, nei casi più gravi, con veri e propri stati di esaurimento emotivo.

Il lavoro da remoto, la digitalizzazione massiva e l’iperconnessione sono diventati la normalità, ma questo cambiamento, pur offrendo vantaggi evidenti, ha anche generato una nuova forma di vulnerabilità psicologica: l’impossibilità di staccare, di interrompere realmente il tempo del lavoro per recuperare energie mentali ed emotive. Il rischio, oggi, non è solo quello di lavorare troppo, ma di non “smettere mai” di lavorare, di restare costantemente raggiungibili, presenti, disponibili. È qui che si inserisce il diritto alla disconnessione, un diritto che non è solo giuridico, ma profondamente psicologico.

Disconnessione e salute mentale

Garantire al lavoratore la possibilità di disconnettersi significa riconoscere che il benessere psicologico non può essere separato dal tempo del riposo. Le neuroscienze ci dicono chiaramente quanto il cervello abbia bisogno di pause, di inattività apparente, per riorganizzare le informazioni, per recuperare lucidità e creatività. Senza una soglia netta tra lavoro e vita personale, si rischia un logoramento costante e silenzioso, che spesso conduce a forme di burnout sempre più diffuse.

La disconnessione è, in questo senso, un fattore protettivo: interrompere il flusso comunicativo con colleghi e superiori fuori dall’orario di servizio non è una concessione, ma un elemento fondamentale per la salute mentale individuale e per la sostenibilità dei contesti lavorativi. È la possibilità di riprendere il controllo del proprio tempo, di abitare nuovamente uno spazio privato senza l’invasione continua del lavoro.

Tecnostress e tutele: il ruolo del diritto

Come psicologi giuridici, osserviamo con attenzione come le normative provino a tenere il passo con queste trasformazioni. In Europa, il diritto alla disconnessione è già stato riconosciuto in Paesi come la Francia, la Spagna e il Belgio. In Italia, invece, siamo ancora in una fase di definizione incerta: l’attuale normativa (come l’art. 19 della legge 81/2017 e il DL 30/2021) affida la regolamentazione della disconnessione agli accordi individuali tra le parti, limitandola spesso ai soli lavoratori in modalità agile. Questo approccio, oltre a essere parziale, lascia scoperta una vasta platea di lavoratori che, pur operando in presenza o in forme ibride, sono quotidianamente esposti a dinamiche di iperconnessione.

La proposta di legge n. 1290/2024, ora in discussione, rappresenta un tentativo concreto di affrontare il problema. Stabilisce chiaramente che il lavoratore ha diritto a non ricevere comunicazioni fuori orario per almeno dodici ore dal termine del turno lavorativo, salvo casi di urgenza. Un principio semplice, ma essenziale: creare un argine all’invasione continua della tecnologia, restituendo centralità ai tempi di recupero.

Questa misura, oltre alla tutela psicologica individuale, ha un valore collettivo. Difende il senso stesso del lavoro come attività umana sostenibile, che non può consumare interamente la persona. Introduce l’idea che il benessere non sia un lusso o una responsabilità individuale, ma un diritto da garantire attraverso strumenti normativi chiari, vincolanti, e applicabili a tutte le categorie professionali.

Un nuovo equilibrio vita-lavoro

In definitiva, la disconnessione non è un’opzione tecnologica né un gesto di rifiuto del progresso. È, al contrario, una scelta di civiltà: riconoscere che il benessere psicologico va tutelato anche nei tempi e negli spazi invisibili, quelli in cui si costruisce la nostra capacità di stare bene, di pensare, di relazionarci. Il diritto alla disconnessione ci ricorda che il lavoro non può inglobare tutta la vita. E che solo tutelando il confine tra questi due mondi possiamo davvero proteggerne il valore.

Per questo, è necessario che anche la psicologia e la psicologia giuridica continui a lavorare in sinergia con il diritto, affinché si affermino politiche che rendano sostenibile il lavoro digitale, non solo in termini economici, ma soprattutto in termini di salute mentale, dignità e qualità della vita.

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