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Una società alla deriva? Il fenomeno delle Baby Gang
13/04/2022 2023-09-16 22:57Una società alla deriva? Il fenomeno delle Baby Gang

Una società alla deriva? Il fenomeno delle Baby Gang
Elena Diana
corsista del corso di alta formazione Ruolo e Funzioni del Consulente Tecnico Psicologo in Ambito Minorile
Sempre più le pagine dei nostri notiziari s’infittiscono di titoli di cronaca nera come quelli citati qui sotto, tratti dalle maggiori testate giornalistiche:
Milano, le violenze a Capodanno in piazza Duomo e la Generazione zeta del branco: le «bande fluide» tra il web e la vita di strada
Il Corriere della Sera 11/01/2022
Risse, molestie e rapine. La paura di Milano: “Ostaggio delle gang giovanili”
La Repubblica 23/01/2022
Un fenomeno di particolare allarme sociale che punta i riflettori sul mondo della devianza minorile è la dilagante realtà delle Baby Gang, nella quale la trasgressione e la sfida all’autorità, che fisiologicamente s’inscrivono nella fase evolutiva adolescenziale, oltrepassa il confine configurando l’illecito penale. Accresce la preoccupante efferatezza dei reati che sempre più vedono protagonista il minore, trattandosi, nel caso di specie, di reati contro la persona agiti in gruppo.
Giovani affiliati in contesti di criminalità organizzata che danno espressione a svariate forme di “devianza minorile” che si materializzano in condotte antisociali di rilievo penale favorendo un’escalation di violenza che vede protagonisti gli adolescenti, capaci di tenere sotto scacco il mondo degli adulti, congelati in una sensazione di pericolo e di impotenza.
Qual è il compito a cui sono chiamate le Istituzioni e la Società per contrastare un fenomeno tanto allarmante quanto diffuso?
Per “Baby Gang” s’intende un gruppo di soggetti minorenni costituito spontaneamente senza una formale affiliazione, che agiscono in maniera organizzata e sistematica, mosso da uno spirito di emulazione che potrebbe richiamare il codice mafioso, a cui il giovane accede sovente anche mediante riti di iniziazione, differenziato per nome e segni distintivi di appartenenza che attribuiscono chiare connotazioni identitarie, con significativi riferimenti alla fratellanza e ai legami di sangue.
Tali gruppi assumono comportamenti devianti perpetrando crimini di diversa natura, hanno al proprio interno una struttura gerarchica con regole di condotta predefinite, rendendosi protagonisti di comportamenti elicitati da un sentimento diffuso di rabbia che si sprigiona con particolare ferocia e violenza nei confronti di persone o cose, avvalendosi di vere e proprie tecniche criminali. Tra loro sono molto diffusi l’ascolto della musica trap (una variante di quella rap) e l’uso di sostanze stupefacenti ed alcoliche.
I delitti commessi dai gruppi di minori comprendono alcune fattispecie di reati contro il patrimonio, quali il danneggiamento (art. 635 c.p.), la rapina (art. 628 c.p.) e l’estorsione (art. 629 c.p.), e delitti contro la persona, quali la violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.) e le percosse (art. 581 c.p.), spesso accompagnate alle lesioni (art. 582 c.p.) e talvolta all’omicidio sia preterintenzionale (art. 584 c.p.) che volontario (art. 575 c.p.).
Scopo principale dell’attacco della Baby Gang è generalmente lo sfogo della violenza e il messaggio di controllo del territorio, che conferisce al giovane componente del gruppo un senso di potere e di superiorità nei confronti dei suoi coetanei, e di rivalsa nei confronti degli adulti.
La violenza non è il solo mezzo che accompagna l’azione criminosa, ma diventa lo scopo stesso dell’aggressione, mentre la res da sottrarre alla vittima (generalmente il denaro o lo smartphone), diviene solo il pretesto per compiere l’aggressione.
Quella delle Baby Gang è stata definita, nella risoluzione approvata dal CSM in data 11/9/2018 a Napoli, una criminalità “epidemica”, «che si distingue per l’operare in gruppo degli autori dei reati, anche se al di fuori dei contesti di criminalità organizzata e per il tasso di violenza utilizzato nei confronti delle vittime, generalmente elevato (dalle lesioni all’omicidio) e, comunque, del tutto sproporzionato rispetto al movente, futile (la sottrazione di beni di modesto valore) e persino degradante a mero pretesto (così come quando vengono evocati atteggiamenti – anche solo sguardi – asseritamente provocatori)».
Accresce l’allarme sociale in relazione a tali reati, per la percezione distorta dell’illecito a causa di esempi mutuati dalla criminalità adulta, per la chiara esternazione di autocompiacimento degli autori attraverso la divulgazione di immagini sui social network delle gesta compiute, per l’appartenenza al gruppo criminale e per il senso di appagamento e divertimento che sorge nell’aver compiuto gli atti delittuosi: tanto più le aggressioni sono efferate, quanto più i componenti del gruppo ne fanno motivo di vanto ed ostentazione finché la diffusione mediatica delle attività criminose diviene motivo di orgoglio e un incentivo ad intensificare le azioni delittuose per far parlare di sé.
Da un punto di vista strettamente criminologico a destare maggiore preoccupazione non sarebbe unicamente l’espansione dilagante del fenomeno, ma la maggior pericolosità del gruppo e la tendenza all’abitualità e professionalità degli assalti. Ciò provocherebbe una crisi della sfera normativa, orientando il giovane verso obiettivi antisociali dove il gruppo diventa la cassa di risonanza dei bisogni individuali che trovano “legittima” espressione.
Per mettere a fuoco il fenomeno della devianza minorile di gruppo, che etichetta le bande giovanili con il termine di “Baby Gang”, e comprenderne l’eziologia occorre immaginare una realtà che colpisce l’universo adolescenziale connotato da tipiche sfaccettature e che trae origine da una pluralità di fattori concomitanti che concorrono nel dare vita a gravi episodi di criminalità tra i più giovani.
L’adolescenza è l’età di mezzo dominata dalla trasformazione e dal cambiamento, etimologicamente indica il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Si tratta di una “stagione” della vita contraddistinta da una travolgente tempesta emotiva, dalla fiducia smisurata nelle proprie capacità, dal desiderio di valicare i confini sperimentandosi nella trasgressione della norma, etica e sociale. Il percorso che accompagna la costruzione della propria identità passa attraverso diverse esperienze in cui s’intrecciano eccessi, grandi idealismi, tristezze infinite, rabbia distruttrice e creatrice, addii e grandi inizi.
Alle soglie della pubertà, il corpo che cambia e che assume sembianze che progressivamente si avvicinano a quelle adulte, le spinte irresistibili che conducono l’adolescente a separarsi ed allontanarsi dal “nido” per avvicinarsi sempre più al gruppo dei pari, la perdita del mondo fatato dell’infanzia e la definizione della propria identità che prende forma attraverso lo sguardo dell’altro e che trova nel senso di appartenenza al gruppo una struttura solida su cui appoggiare l’autostima e che sembra essere garanzia di inclusione sociale.
Le tendenze trasgressive si scontrano con le difficoltà registrate dagli adulti, che sempre più offrono modelli educativi compiacenti ed indulgenti connotati dall’incapacità nel porre dei limiti; gli stimoli captati dai social media e dalla realtà virtuale, impoveriti di valori etico-morali e che esibiscono icone fondate sull’apparire, in conformità ad una società individualista ed utilitaristica, e sul vantaggio sociale conseguito attraverso l’uso della violenza, senza alcuna percezione del disvalore delle azioni commesse, tendono a plasmare il minore in cerca di riconoscimento, appartenenza e identità.
E in questo vortice che risucchia l’adolescente, s’inseriscono un connubio di fattori genetici, psicologici, sociali, familiari, culturali, economici, che creano un terreno fertile per slatentizzare quadri psicopatologici e gravi situazioni di disagio accendendo nel giovane un fuoco che si autoalimenta con la violenza e la criminalità lungo un continuum di gravità che conduce l’adolescente a cercare riparo, trovando talvolta nella criminalità il valore di Sé.
Alla luce della recente recrudescenza di alcuni fenomeni criminali che vedono come protagonista il giovane, l’approccio al fenomeno richiede una strategia di intervento congiunto e sinergico da parte di tutti i protagonisti della società civile, istituzionali e non, al fine di debellare ogni fattore che contribuisca ad alimentare i presupposti per lo sviluppo di forme di devianza minorile, cercando di coinvolgere anzitutto le famiglie che costituiscono l’humus “condizionante” in cui si sviluppa la personalità del minore, rappresentando l’aggregazione sociale che principalmente ha il compito primario di correggere i comportamenti devianti dei minori.
Un’efficace strategia di prevenzione della devianza giovanile richiede, in particolare, la promozione, da parte di tutte le Istituzioni coinvolte, di iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive e religiose nonché di educazione alla legalità rivolte ai minori, in un’ottica di indirizzo verso forme di impegno che distolgano gli stessi dalla frequentazione di contesti criminogeni.
Peraltro, non sempre il minore è in grado di saper valutare il disvalore delle proprie condotte e di soppesarne le conseguenze, anche sul piano penale, sottovalutando, altresì, il danno materiale e psicologico perpetrato alla vittima della sua condotta delinquenziale.
Minori autori di reato
Occorre evidenziare che l’Ordinamento Italiano prevede, per i soggetti minori, un regime giuridico processual-penalistico nettamente distinto rispetto a quello ordinario.
In primo luogo, il Codice Penale individua due fasce di età rilevanti ai fini dell’imputabilità, escludendo pienamente dall’imputabilità il soggetto che, al momento della commissione del fatto costituente reato, non aveva ancora compiuto i quattordici anni (art. 97 c.p.); qualora venisse accertata dal Giudice la pericolosità del minore non imputabile, questi potrà essere soggetto ad una misura di sicurezza, provvedimento teso ad evitare la reiterazione dei reati. Tale misura si concretizza in libertà vigilata oppure nel ricovero in riformatorio.
Invece, per i soggetti infradiciottenni ma ultraquattordicenni, l’imputabilità va valutata caso per caso a seconda della capacità di intendere e volere espressa dall’autore al momento del fatto (art. 98 c.p.). Egli sarà considerato giudicabile, il procedimento penale avrà corso innanzi al Tribunale per i minorenni (istituito con il Regio Decreto Legge n. 1404 del 20 luglio 1934: “Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni”) e la pena sarà diminuita (artt. 65 e 169 c.p.). Per i minori di età compresa fra quattordici e diciotto anni la capacità di intendere e di volere in relazione al reato compiuto deve essere sempre accertata, mentre per gli adulti autori di reati è presunta.
Sono applicate, altresì, le disposizioni ex artt. 223-227 c.p., con riguardo ai minori non imputabili, imputabili, delinquenti abituali, le quali prevedono il ricovero in un riformatorio giudiziario (art. 223 c.p.) ovvero una misura di sicurezza speciale detentiva per i minori, che non può avere durata inferiore ad un anno e che il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, ne modifica l’applicabilità, sostituendola di fatto con il collocamento in comunità.
Per il principio di personalità della responsabilità penale, i genitori non rispondono dei reati commessi dai figli, tuttavia sono civilmente responsabili del danno derivante dal fatto illecito cagionato dal figlio minore soggetto alla loro tutela e che coabita con essi.
La funzione rieducativa della pena in un’ottica di prevenzione della criminalità adulta
Per quanto attiene, inoltre, all’attuale assetto della Giustizia Penale Minorile, si è in presenza di un processo penale diversificato – consacrato nel D.P.R. n. 448 del 1988 e successive modifiche – che, con tutte le garanzie del processo ordinario, tende a limitare – per quanto possibile – il danno che l’impatto con la Giustizia può produrre sul minore, contemperando le esigenze di risposta pedagogica con le finalità più generali della pena; l’intervento giurisdizionale, in ambito minorile, è ispirato ai principi della “minima offensività del processo”, della sua “finalizzazione rieducativa” e della sua “attitudine responsabilizzante” (“Risoluzione in materia di attività degli uffici giudiziari nel settore della criminalità minorile nel distretto di Napoli” – Delibera 11 settembre 2018 – Consiglio Superiore della Magistratura).
Nell’ottica della tutela del minore, infatti, occorre calibrare la risposta giudiziaria, tenendo conto della gravità del reato e della personalità dell’autore e considerando che l’esigenza di rieducazione dello stesso non deve prescindere dalla necessità di assicurare effettività all’intervento repressivo e contrastare, al tempo stesso, il senso di impunità in cui, spesso, il mondo giovanile confida per la commissione di condotte delittuose.
Sono previsti, in particolare, istituti specifici per i soggetti minori d’età, che orientano la finalità rieducativa e non punitiva della pena, in un’ottica di reinserimento sociale: misure cautelari differenti, quali le prescrizioni inerenti l’attività di studio, lavorativa o di pubblica utilità, la permanenza in casa, il collocamento in comunità, con un utilizzo marginale e residuale, invece, della custodia in carcere (rispetto alla quale vige uno speciale regime relativo ai termini di durata della custodia cautelare in quanto, ex art. 23 del D.P.R. n. 448 del 1988, i termini di cui all’art. 303 c.p.p. sono ridotti della metà per i reati commessi da minori di diciotto anni e dei due terzi per quelli commessi da minori di sedici anni); l’arresto in flagranza di reato sempre facoltativo; la sospensione del processo con messa alla prova ed estinzione del reato in caso di esito positivo della prova ex artt. 28 e 29 del D.P.R. n. 448 del 1988; la possibilità di chiusura del procedimento penale, con sentenza di non luogo a procedere, attraverso il ricorso all’“irrilevanza del fatto”.
In merito si segnala anche il recente Decreto Legislativo n. 121 del 2 ottobre 2018, recante “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni” che interviene a dare un quadro sistematico delle modalità esecutive della pena per i minori d’età ed i giovani adulti, attribuendo al concetto di giustizia penale di tipo riparativo un’importanza primaria nell’ambito del processo educativo con l’introduzione del concetto di “responsabilità verso l’altro”, restituendo così dignità alla vittima di reato.
La sanzione penale, quindi, contestualmente alle funzioni retributiva ed educativa, integra anche quella riparativa. Più precisamente, tra le finalità dell’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni il Legislatore, nel 2018, norma il concetto di giustizia riparativa, finalizzata alla ricomposizione della frattura determinatasi nell’ambito sociale per effetto del reato, nella convinzione che tutte le altre finalità della pena (responsabilizzazione, rieducazione, preparazione alla vita libera, inclusione sociale e prevenzione della commissione di ulteriori reati) possano essere perseguite meglio qualora il giovane reo comprenda l’effettivo disvalore dell’azione posta in essere.
In particolare, il Capo II del D. Lgs. n. 121 del 2018 introduce e disciplina le misure penali di comunità, quali misure alternative alla detenzione specificatamente destinate ai condannati minorenni, individuandole nell’affidamento in prova al servizio sociale, nell’affidamento in prova con detenzione domiciliare, nella detenzione domiciliare, nella semilibertà e nell’affidamento in prova in casi particolari, qualora risultino idonee a favorire il percorso evolutivo, educativo e di recupero del soggetto, mediante effettive opportunità di istruzione, formazione e di impegno con il coinvolgimento di tutta la comunità nel processo di recupero ed inclusione sociale del minore.
In rigorosa continuità con i principi del D.P.R. n. 448 del 1988, la nuova disciplina dell’esecuzione disegna un sistema in cui il ricorso alla detenzione per i condannati minorenni può essere attivato solo come extrema ratio, quando le finalità educative non possano essere perseguite con altra forma di trattamento e queste risultino idonee a favorire l’evoluzione in termini positivi della personalità, sempre che non sussista il pericolo di fuga e di reiterazione della condotta deviante.
Peraltro, i minori non vengono assoggettati alle misure di prevenzione tipiche, disciplinate dal D.lgs. n. 159 del 2011, poiché nei loro confronti sono previste differenti misure rieducative che, oltre alla finalità di prevenzione della criminalità, perseguono lo scopo del recupero sociale del minore.
Si applicano, invece, le misure di prevenzione personali del “divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive” (D.A.Spo. ex art. 6 della L. n. 401 del 1989) e dei divieti di accesso a determinati locali pubblici o aperti al pubblico o pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento ovvero divieti di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi ai sensi degli artt. 13 e 13 bis del D.L. 20 febbraio 2017, n. 14, nonché le misure di cui all’art 25 del R.D.L. n. 1404 del 1934 – ossia l’affidamento al Servizio Sociale Minorile od il collocamento in una casa di rieducazione od in un istituto medico psico-pedagogico – estese, ex artt. 25 bis e 26 del R.D.L. n. 1404 del 1934, anche ad altre categorie di minorenni (art. 25 bis, art. 26, comma 1 e 2, art. 26, comma 3 e 333 c.c.). Quest’ultimo istituto, in particolare, risulta funzionale alla prevenzione dei reati, soprattutto nei confronti dei minori non imputabili per i quali mancano strumenti di contenimento della pericolosità diversi dalle misure di sicurezza ex art. 36 e ss. del D.P.R. n. 438 del 1988.
Inoltre, in un’ottica general-preventiva si segnala che il Legislatore ha introdotto i così detti “provvedimenti de potestate” (art. 330 c.c. “Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli”; art. 333 c.c. “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli”) che hanno il fine di tutelare i figli dai possibili pregiudizi derivanti dall’inadempimento dei genitori ai propri doveri e di garantire la corretta crescita e lo sviluppo fisico e psicologico del minore. I citati provvedimenti possono, altresì, portare all’allontanamento dei figli ed al loro ricollocamento in territori geograficamente e socialmente lontani da quelli in cui sono cresciuti. Si tratta di provvedimenti che, ancorché drastici, sono funzionali ad evitare la trasmissione ereditaria dei valori criminali in quanto il permanere dei legami familiari potrebbe alimentare il rischio di devianza verso comportamenti illeciti.
In conclusione, intercettare il disagio giovanile, in un’epoca in cui la personalità attraversa una fase di evoluzione, e mettere in campo azioni finalizzate alla prevenzione delle condotte delinquenziali rappresenta un tassello del puzzle estremamente risolutivo, un fattore protettivo che incide di riflesso sulla tutela delle vittime. Attribuire un carattere rieducativo alla pena, in un’ottica di riparazione del danno cagionato alla parte offesa, rappresenta una sfida ardua, orientata ad arginare il rischio che si profili una struttura di personalità criminale.
“Tutti i fiori del domani sono nei semi di oggi”
proverbio indiano
Commenti (2)
Delinquenza minorile, quali i fattori di rischio? – Psicologia in Tribunale
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Loredana
Questo articolo mi pare estremamente aderente ad un fatto accaduto pochi giorni fa. Sicuramente è un campo legislativo di nuovo assetto legato ad un fenomeno emergente tipico delle città di oggi.