Tra mura che raccontano storie

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Tra mura che raccontano storie

REMS
Psicologia Giuridica

Tra mura che raccontano storie

Quando cammini lungo i corridoi della REMS, il silenzio pesa come un macigno, ma basta una porta socchiusa, uno sguardo incrociato per sentirsi catapultati in un mondo parallelo. Qui, tra stanze che sembrano tutte uguali ma custodiscono universi complessi, si svolge una realtà sospesa, a metà strada tra giustizia e cura, tra reclusione e riabilitazione.

Sono passati anni dalla chiusura degli antichi ospedali psichiatrici giudiziari, luoghi che portavano addosso l’odore stantio di vite dimenticate. Al loro posto, le REMS sono diventate il nuovo spazio dove confluiscono storie difficili: uomini e donne che, per un breve o lungo istante, hanno perso la bussola del loro essere e hanno commesso atti che li hanno resi pericolosi. Non per loro scelta, ma per qualcosa che ha oscurato la loro volontà.

Ogni paziente qui è un enigma: non si può descrivere con un’etichetta o un singolo tratto. C’è chi, un giorno, si chiude in un silenzio impenetrabile e il giorno dopo esplode in rabbia. Altri, con il volto segnato dal pianto, sembrano quasi implorare un perdono che nessuno può loro concedere. Ogni incontro è un gioco di specchi, una continua oscillazione tra il desiderio di comprendere e il bisogno di mantenere una distanza protettiva.

Per gli operatori questo è il lavoro di ogni giorno: non solo curare, ma anche convivere con l’infinita varietà di maschere che il dolore umano può indossare. Spesso, senza accorgercene, indossiamo a nostra volta maschere: di comprensione, di fermezza, di empatia. Ma dietro ogni maschera, c’è la consapevolezza di affrontare qualcosa di più grande: la capacità dell’essere umano di infliggere sofferenza. 

In una REMS non si incontrano mostri, ma persone spezzate, le cui azioni raccontano storie di dolore inflitto e subito. Un teatro tragico in cui si incrociano i ruoli di vittime e carnefici, senza che i confini siano mai del tutto chiari.

E poi c’è la fatica, un compagno silenzioso che accompagna ogni operatore al termine di ogni turno. Non è solo la stanchezza fisica, ma una tensione costante, nata dal confronto con una realtà che si muove tra speranza e disillusione. Ogni giorno, a chi lavora in queste strutture viene chiesto di colmare un vuoto: quello lasciato da una società che ha delegato loro il compito di gestire ciò che non sa, o non vuole, affrontare.

Ma cosa significa davvero questa delega? È un peso da portare sulle spalle, spesso soli, consapevoli che la capacità individuale di contenere il conflitto tra cura e sicurezza è fragile, sempre al limite. Eppure, è anche un’opportunità: quella di costruire un ponte, per quanto instabile, tra chi è stato escluso e una società che, forse, non è ancora pronta ad accoglierlo.

Le REMS sono un esperimento complesso, un luogo dove il tentativo di umanizzare la giustizia e la cura si intreccia con le contraddizioni del nostro tempo. E chi ogni giorno si muove tra queste mura sa che non ci sono risposte semplici, ciononostante continua a cercare di fare la propria parte in questo difficile, affascinante e spesso doloroso spettacolo umano.

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