Ruoli e funzioni del Consulente Tecnico Psicologo per il PM. Criticità, spunti di riflessione e buone prassi
12/04/2021 2022-06-15 13:48Ruoli e funzioni del Consulente Tecnico Psicologo per il PM. Criticità, spunti di riflessione e buone prassi
Ruoli e funzioni del Consulente Tecnico Psicologo per il PM. Criticità, spunti di riflessione e buone prassi
Maria Cristina Passanante,
Psicologa giuridica, co-ideatrice di PsicologiainTribunale.it
Mariarita Guglielmi
Dottoressa in Psicologia
In ambito penale lo psicologo può assumere tre ruoli: può essere perito (o “Ausiliario”) nominato dal Giudice (G.I.P./G.U.P. o Giudice del dibattimento), Consulente Tecnico nominato dal Pubblico Ministero (PM) e Consulente Tecnico di Parte (CTP) nominato dalla difesa dell’indagato/imputato o dalla parte civile. Ma è sul Consulente Tecnico per il PM che vogliamo soffermarci, per definirne il ruolo in maniera chiara ed evidenziare le buone prassi da adottare durante l’attività di consulenza.
Come sappiamo, il Pubblico Ministero (PM) è un organo designato per l’esercizio dell’azione penale, azione che conduce poi al processo in cui il PM sarà la controparte dell’imputato. È dunque un organo che si occupa di cercare prove d’accusa verso presunti autori di reato. Il consulente psicologo interviene nel momento in cui, durante le indagini, il PM deve procedere ad accertamenti legati a questioni che richiedono specifiche competenze: dunque, come sancisce l’art. 359 del c.p.p., questi ha la facoltà di nominare uno o più consulenti tecnici a cui affidare l’accertamento di questioni tecnico-specifiche e che possano dare significativi contributi all’attività investigativa.
La SIT (Sommarie Informazioni Testimoniali)
Preliminarmente alla consulenza tecnica il P.M. può avvalersi del CT per la S.I.T. (Sommarie Informazioni Testimoniali): in questa fase il CT assume il ruolo di ausiliario della P.G. (Polizia Giudiziaria), poiché persona idonea con competenze specifiche e necessarie per il caso in questione. La S.I.T. viene svolta in ambito ordinario e/o minorile a seconda dell’età dei soggetti coinvolti, si svolge esclusivamente all’interno delle Indagini Preliminari ed è finalizzata a raccogliere la testimonianza della parte offesa, presunta vittima di reato. Si tratta di un momento, appunto, preliminare e orientativo che precede la vera e propria consulenza: con quest’ultima, che prevede un iter metodologico più complesso e articolato, si andrà infatti ad eseguire una vera e propria valutazione relativa allo psichismo del soggetto e alla sua capacità a rendere testimonianza.
Per la S.I.T si fa riferimento agli artt. 351 e 362 c.p.p. che stabiliscono che “il pubblico ministero, quando deve assumere informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto di psicologia o psichiatria infantile. Allo stesso modo provvede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità. In ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini.”
Per l’ascolto della presunta vittima, vengono utilizzati protocolli di intervista investigativa che hanno lo scopo di far luce sui fatti oggetto d’indagine: l’obiettivo è quello di raccogliere informazioni senza pregiudizi, dunque evitando contaminazioni o suggestioni e cercando di favorire l’emergere di un ricordo più accurato e completo possibile, cosicché possa essere valido a livello giudiziario.
Alcuni aspetti importanti da ricordare sono:
- essere chiari rispetto alla finalità dell’incontro;
- partire dalla creazione di un clima confortevole, di familiarizzazione che possa far sentire a proprio agio la vittima, introducendo ad esempio argomenti neutri o, in caso di minori, creando un contesto di gioco (questa fase permette anche di conoscere il soggetto e modulare, sulla base di questo, il colloquio);
- evitare un linguaggio ambiguo e complesso;
- essere pertinenti rispetto al tema trattato;
- mantenere un tono e un atteggiamento “neutrale” che favorisca la genuinità delle informazioni.
È inoltre utile procedere “ad imbuto”, favorendo prima una narrazione e rievocazione libera alla vittima, ponendo domande per lo più aperte e generiche e successivamente stimolare, attraverso domande più dirette e specifiche, una rievocazione guidata.
La chiusura dell’intervista investigativa non deve essere sottovalutata: gli ultimi minuti del colloquio sono essenziali. Si deve infatti evitare l’errore di chiudere frettolosamente l’incontro, magari perché si sono ottenute sufficienti informazioni. Sarebbe buona prassi, per restituire serenità al soggetto e ristabilire in qualche modo l’equilibrio, concludere con un argomento neutro o anche, se si tratta di bambini molto piccoli, ripristinando un eventuale contesto di gioco in cui il colloquio era iniziato. È bene ringraziare la presunta vittima, rassicurarla e sostenerla per aver collaborato.
I protocolli di intervista variano in base all’età e alle competenze specifiche delle persone da ascoltare e possono essere più o meno strutturate. La scelta del protocollo spetta all’esperto.
Le interviste maggiormente utilizzate sono:
- La Step Wise Interview, che viene utilizzata con soggetti di età dai sei anni in poi e normodotati
- L’Intervista Strutturata, utilizzata con soggetti di età inferiore ai sei anni, ma senza particolari problematiche cognitive e/o psichiche o con soggetti di età superiore ai sei anni che presentano difficoltà cognitive o altre problematiche psichiche che possano al momento dell’intervista condizionare le capacità di memoria del minore o il suo livello cognitivo generale. In tal senso, l’intervista strutturata prevede un’impostazione più semplificata
- L’Intervista Cognitiva, nelle due versioni, una per bambini e una per adulti. Questa intervista prevede quattro mnemotecniche che permettono il recupero delle informazioni
Il fine ultimo di un “buon ascolto” è anche quello di evitare dinamiche di vittimizzazione secondaria, legata ad aspetti successivi al presunto reato subito. Modalità invasive durante il colloquio, luoghi non appropriati, scarsa attenzione alle caratteristiche personali ed evolutive della presunta vittima, sono tutti aspetti che causerebbero ulteriore sofferenza e stress.
In tutti i casi il CT ha una doppia responsabilità: deve proteggere il processo investigativo e allo stesso tempo avere come obiettivo supremo la tutela psicologica della presunta vittima, in particolar modo dei minori. In tal senso un “buon ascolto” incarna sia una valenza criminologica che una valenza clinica e deve massimizzare la raccolta delle informazioni e ridurre al minimo le possibili fonti di stress al soggetto coinvolto.
La consulenza tecnica per il P.M.: nomina e conferimento dell’incarico
Come anticipato la S.I.T. è preliminare alla Consulenza Tecnica che invece prevede una metodologia più articolata ed è finalizzata ad una vera e propria valutazione di aspetti specifici, essendo oltretutto guidata dal quesito peritale.
La nomina del CT per il P.M. è regolamentata, come già detto, dall’art. 359 c.p.p. che sancisce che il P.M. “quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera” e che “il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine”. Ma nel caso in cui gli accertamenti abbiano a oggetto cose, luoghi o persone il cui stato è soggetto a modificazione, la nomina è regolamentata dall’art. 360 c.p.p. e la consulenza viene considerata tra gli atti che si configurano come irripetibili. In questo caso il P.M. “avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e i difensori, del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare propri consulenti tecnici; i difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve”. Dunque il conferimento dell’incarico prevede la presenza di tutti i soggetti del procedimento: avvocati, parti, periti ed eventuali CT.
Il CT per il PM riceve un incarico fiduciario, dunque può anche non essere iscritto all’apposito Albo del Tribunale in questione ed essere reclutato “sul campo”.
Il quesito
Una volta conferito l’incarico, l’esperto partecipa alla formulazione del/dei quesiti da parte del magistrato. È bene ricordare che i quesiti, a cui l’esperto è tenuto a rispondere, non possono riguardare l’accertamento dei fatti, ma unicamente pareri di ordine tecnico; il consulente non può e non deve esprimersi sulla “verità dei fatti”, dunque sulla veridicità di un racconto della presunta vittima o sull’esistenza o meno di un fatto processuale. Può e deve invece valutare il funzionamento psicologico del soggetto e su quella che Fornari definisce “verità clinica”. Anche perché, nel nostro sistema processuale l’unico soggetto che può esprimere valutazioni sull’attendibilità/veridicità di dichiarazioni rese è il giudice.
Tuttavia, sebbene l’attività del consulente esuli dal fornire elementi di prova concernenti attività degli inquirenti, accade spesso che il CT accetti l’incarico sulla base di quesiti che non rispettano i confini della propria competenza e che non considerano i limiti scientifici di cui un CT deve avere consapevolezza. In tal caso, il quesito non viene contestato e ciò genera ingenti criticità nello svolgimento dell’incarico. Sarebbe quindi buona prassi prestare rigorosa attenzione al momento della formulazione del quesito – che rappresenta in qualche modo il vincolo dell’intera attività di consulenza – ed intervenire in caso di formulazioni errate che non rispettano determinati criteri o di richieste eccessive.
Metodologia d’indagine
Accettato l’incarico e il quesito, al CT è concesso acquisire la copia degli atti contenuti nel fascicolo del PM e, se necessario, qualora la documentazione fosse insufficiente per la soddisfazione dei quesiti sollevati dal magistrato, potrà ricevere e acquisire direttamente, o con l’eventuale ausilio della Polizia Giudiziaria, qualunque documento utile o necessario, senza alcuna limitazione.
Prima di entrare nel vivo dell’attività peritale e della metodologia utilizzata, è opportuno ricordare alcuni aspetti presenti nelle linee guida deontologiche per lo psicologo forense, in particolare:
- ARTICOLO 6: “Nell’espletamento delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente affidabili (art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti stessi sia dall’osservazione dell’interazione dei soggetti tra di loro.”
- ARTICOLO 7: “Lo psicologo forense valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7 C.D.; art. 1 C.N.). Rende espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e, all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative (art. 5 C.N.) esplicitando i limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresì di esprimere opinioni personali non suffragate da valutazioni scientifiche. Nei casi di abuso intrafamiliare, qualora non possa valutare psicologicamente tutti i membri del contesto familiare (compreso il presunto abusante), deve denunciare i limiti della propria indagine dando atto dei motivi di tale incompletezza (art. 3 C.N.).”
- ARTICOLO 8: “Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato (art. 3/3 C.N.) (artt. 3/1, 3/2 C.N.).”
Quello di cui solitamente il CT si occupa è di valutare la capacità della presunta vittima del reato a rendere testimonianza e non di verificare che il reato sia o meno avvenuto. Essendo, spesso, la testimonianza della presunta vittima l’unica fonte di prova, la valutazione dell’esperto assume grande importanza sul piano giuridico. Perciò è importante prestare attenzione alla metodologia e cercare di evitare errori.
È utile differenziare la capacità a rendere testimonianza in:
- Capacità testimoniale generica, che indica le capacità di base del soggetto (memoria, linguaggio, pensiero, esame di realtà) in relazione alla sua età e al suo ambiente di crescita sul piano emotivo e relazionale;
- Capacità testimoniale specifica, che invece fa riferimento alla capacità di ricordare gli eventi oggetto della testimonianza e che è legata anche al contesto e alle modalità con cui la vittima riferisce l’abuso (presunto), ad eventuali elementi suggestivi che possano aver influito e alla relazione con il presunto autore del reato.
Nello specifico, le aree di indagine da considerare per la valutazione sono:
- la capacità cognitiva generale, incluso il source monitoring;
- la capacità di comprendere il linguaggio verbale;
- la memoria autobiografica;
- la capacità, in base all’età del soggetto, di discriminare realtà da fantasia, verosimile da non verosimile, assurdo da plausibile;
- la capacità discriminatoria ed interpretativa di stati mentali propri o altrui (funzione riflessiva);
- il livello di suggestionabilità.
Uno dei primi aspetti da considerare è il setting che, così come è stato evidenziato per la S.I.T., deve essere reso confortevole e privo di stimoli distraenti o condizionanti. È bene videoregistrare sia per preservare le dichiarazioni del soggetto che per evitare di ripetere le attività. Inoltre bisogna ridurre al minimo il numero degli incontri, specialmente con i minori: con questi sarebbe opportuno effettuare un massimo di tre incontri..
Gli strumenti metodologici utilizzati sono principalmente il colloquio clinico e la testistica. I primi momenti dei colloqui sono finalizzati alla raccolta di dati storico-anamnestici familiari e individuali rispetto alla presunta vittima. Così come per l’intervista investigativa descritta precedentemente, anche per il colloquio clinico è bene rispettare alcune “regole”, quali informare il soggetto del perché ci si trova lì, adattare il linguaggio alle sue capacità di comprensione e alla sua età, ascoltare senza interrompere e favorire inizialmente una narrazione libera. Con i bambini molto piccoli da cui non si possono ricevere resoconti verbali espliciti, il gioco può essere un ottimo strumento.
Le aree da valutare (in relazione all’età cronologica del soggetto) sono:
- aspetto fisico
- modalità di relazionarsi con l’esaminatore
- affettività (adeguatezza, presenza di fenomeni pervasivi, ecc.)
- orientamento spazio/tempo
- comportamento motorio (livello di attività, coordinazione, capacità di controllo, ecc.)
- contenuto e forma del pensiero
- discorso e linguaggio (sia di comprensione che di produzione)
- intelligenza
- attenzione
- capacità di giudizio e di comprensione
- modalità preferite di comunicazione
- memoria
È importante valutare, dunque: la capacità di comprensione di domande specifiche e la capacità di rispondere in modo accurato; la capacità di osservare, percepire e registrare in maniera precisa i fatti; la capacità di ricordare e richiamare eventi e di comunicarli (il che è anche legato allo sviluppo cognitivo-intellettivo raggiunto).
Relativamente alla testistica, potranno essere utilizzati test riconosciuti dalla comunità scientifica come affidabili e specificamente validati. L’indagine psicologica può essere eseguita con l’ausilio di test di personalità, test neuropsicologici, test di livello, test proiettivi basati sulla performance del soggetto (performance based) o sulla capacità di auto descriversi (self report), prove psicografiche (molto utilizzate con i minori).
In definitiva, l’utilizzo congiunto dello strumento del colloquio e dei test deve portare ad un approfondimento delle competenze cognitive del soggetto e delle competenze emotivo-affettive.
In conclusione, è opportuno sottolineare ancora una volta che la valutazione dell’esperto prescinde dal dover confermare o meno la verità dei fatti e che nessuno strumento psicodiagnostico potrà essere utilizzato per accertare se una persona sia stata o meno vittima di reato. Soltanto una piena consapevolezza di questo può permettere agli psicologi di seguire un iter metodologico etico ed efficiente, che possa realmente offrire un contributo indispensabile ai fini giuridici.
Concordo appieno con le sue osservazioni. La famiglia è molto cambiata e la responsabilità genitoriale coinvolge oggi dimensioni complesse in…