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Il coraggio della denuncia. Il caso di Gloria

Psicologia Giuridica

Il coraggio della denuncia. Il caso di Gloria

Maria Cristina Passanante
Psicologa giuridica e coideatrice di PsicologiainTribunale.it

Violenza di genere in Italia

Anche se è in aumento il numero delle denunce, il fenomeno della violenza di genere è ancora un fenomeno sommerso. Le donne che cercano aiuto sono una minoranza: non parlano con nessuno delle violenze subite, non denunciano. Poche sono anche quelle che si rivolgono a centri antiviolenza o a servizi specializzati. 

Eppure, la denuncia è essenziale per aiutare la donna ad uscire dalla violenza, così come la presa di consapevolezza rispetto a quanto è stato subito. Molte donne non considerano la violenza subita un reato, solo il 35,4% ne è consapevole, e ancora poche sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto. È per questo che l’opera di informazione e sensibilizzazione è importantissima.

Violenze fisiche e sessuali: i numeri di un flagello

Come rileva l’Istat da un’indagine condotta ormai nel 2014 tra donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni, una donna su tre, nel nostro paese, e stiamo parlando di circa 7 milioni di donne, ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Le violenze vengono perpetrate per il 13,6% da partner o ex partner. Per il 24,7% da altri uomini, sia estranei che persone conosciute, come conoscenti, amici, parenti, colleghi di lavoro. 

Sono proprio partner, parenti o amici a esercitare le forme di violenza più gravi, come gli stupri o le violenze fisiche, come schiaffi, calci, pugni e morsi. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali.

Tra le straniere residenti nel nostro paese, le donne moldave, quelle rumene e quelle ucraine subiscono più violenze e, seppure in assoluto con percentuali analoghe alle donne italiane, subiscono con più incidenza violenze fisiche.

L’Italia poi detiene insieme a molti altri paesi in Europa e nel mondo ancora il triste primato dei femminicidi: una donna viene uccisa nel nostro paese ogni tre giorni, in genere da un compagno o un familiare. 

 

Violenza psicologica e “pandemia ombra”

Oltre alla violenza fisica e sessuale, molte donne subiscono dal partner anche violenze psicologiche ed economiche, ossia comportamenti tesi a umiliare, svalorizzare, controllare e intimidire, nonché privare o limitare la donna nell’accesso alle proprie disponibilità economiche e familiari.

Durante il periodo del lockdown, che purtroppo continua ancora oggi, i casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche sono stati in aumento. Molte donne con occupazioni informali e precarie hanno perso il lavoro, in questo periodo, e sono risultate maggiormente esposte, essendo costrette a lunghe permanenze in casa, diventando anche economicamente più dipendenti dal partner. E questo ha fatto sì che anche il controllo esercitato su di loro da partner abusanti si sia amplificato. 

L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo, in conseguenza della pandemia, è stato rilevato da indagini di organismi internazionali come le Nazioni Unite, ad esempio. Questo fenomeno è ormai noto con il triste appellativo di “pandemia ombra” che ne denuncia la gravità.

Questi terribili dati riportano alla mia memoria la storia di una donna che ho incontrato nel corso della mia attività professionale come consulente tecnico e della quale il ricordo è per me incancellabile.

Non esiste medicina per curare il peso che c’è sul mio cuore: il caso di Gloria

Sono io ad andare da lei: il suo stato di salute non le consente di raggiungere il mio studio. È così che conosco questa donna fragile e ad un tempo indomita. E capisco, da subito, che Gloria (nome di fantasia), fatica ad aprirsi. Sento tutta la sua paura, la sua diffidenza. Del resto, come scriverà in una memoria autografa, 

“lui ha distrutto le mie certezze, la mia parte più profonda dell’animo, la dignità, la mia vita esistenziale, biologica, la fiducia nella gente; il mio cuore è scoppiato, lasciando un grave turbamento della pace interiore”.

E questa condizione di estrema sofferenza e dolore traspare guardandola, ascoltandola. Una dimensione dolorosa dalla quale mi sento immediatamente invasa, e che mi rende faticoso essere lì con lei, in quella stanza. E non solo perché il carcinoma ovarico da cui è affetta, l’intervento chirurgico e il trattamento chemioterapico l’hanno resa emaciata e trasformata nel corpo, ma per lo stato psicologico in cui versa, perché, come lei stessa dice:

“Mi sento abbandonata e povera. Qualcuno ruba la borsa dei soldi per arricchirsi, è qualcosa o non è nulla, ma lui che ha truffato i miei sentimenti non si è arricchito, ha fatto di me una donna miserabile e sola; ed è la rabbia che si impossessa di me, che si trasforma in tristezza, amarezza, oppressione che si ferma sul petto, scelgo di ignorarla, ma quella sensazione si fa sempre più forte e non esiste medicina per curare il peso che c’è sul mio cuore”.

La storia di Gloria

I minuti, le ore, faticano a passare per me. Il racconto che questa donna, maltrattata da un uomo maschilista, fa della sua vita coniugale è tremendo. È quasi insostenibile ascoltarlo.

Mi dice di aver subito passivamente per anni tutto quello che lui le faceva. Che spesso la picchiava e minacciava di ucciderla. Le metteva il cuscino sulla faccia, fino quasi a soffocarla, e la stuprava. Le rompeva i cellulari per isolarla dal mondo, dalle tante amiche, le tagliava le borse e i vestiti che lei stessa aveva cucito. 

Era chiaro che la considerava una sua proprietà. Un oggetto, una cosa, non una donna!  

E man mano che mi addentro nella sua vita, faccio sempre più fatica, mi sento profondamente turbata, impossibile ingoiare le lacrime che prepotenti solcano il mio volto. È a questo punto che lei capisce che sento tutto il suo dolore, e si apre. 

“Ero dominata dalla paura, mi dice, mi sentivo in una prigione invisibile ed il mio guardiano era lui”.

Adesso, invece, con il sostegno dei figli, è riuscita a trovare il coraggio e a denunciarlo. 

Mi racconta, con la voce rotta dal pianto, di episodi durante i quali la violenza fisica e gli abusi cui il marito la sottoponeva erano tali che temeva, effettivamente, potesse ucciderla, come più volte aveva minacciato di fare. 

Le percosse, gli insulti, le minacce, il danneggiamento dei suoi oggetti e il sentirsi continuamente controllata, avevano fatto insorgere in lei uno stato costante di ansia e di paura. E questa condizione era così grave che, ancora oggi, sostiene di vivere in uno stato costante di “allerta”. Persino le sue notti sono inquiete e i suoi sogni, incubi.

“Non ho uno scopo per il mio futuro, tutti i giorni sono uguali agli altri e non passano mai… mi sento inutile e spesso mi chiedo: “A cosa servo io?” 

Versa infatti in uno stato di grave depressione. La separazione dal marito e la fine della vita coniugale ha prodotto una perdita affettiva irreparabile nella sua vita:

La separazione da mio marito è stata il fallimento dei miei valori,  avevo investito la mia vita. È stato come un rogo dove sulle ceneri, non essendoci fondamenta, non si riesce più a costruire”.

Aveva investito molto in questa relazione:

ho amato mio marito… è stato il mio solo ed unico uomo. Mai avrei creduto mi tradisse… o arrivasse a fare quello che ha fatto”.

Diagnosi di una sconfitta

Eppure, dall’indagine diagnostica emergono vissuti relazionali interiorizzati che stanno alla base di una scelta oggettuale così disfunzionale. L’immagine paterna appare imponente e minacciosa, incapace di stabilire un contatto emotivo soddisfacente, “un gigante con le zampe grandi“, e quella materna ancor più problematica. Nella Tavola VII del test di Rorschach infatti, Gloria vede “le ossa del bacino… il bacino con le anche“, che rivela un rapporto primario freddo, non appagante, nel quale circolano vissuti depressivi e mortiferi.

L’osservazione diretta e i colloqui clinici evidenziano una personalità provata dalla condizione traumatica che Gloria ha dovuto affrontare durante gli anni di drammatica convivenza con il marito.

Emerge, in conseguenza del trauma subito, uno stato d’inquietudine, di angoscia ed una problematica significativa rispetto al funzionamento psichico globale con diminuzione delle proprie risorse produttive interne e ripercussioni importanti a livello degli aspetti di vita individuali, familiari, sociali e relazionali. 

Gloria appare curata nell’aspetto e nell’igiene personale, formalmente disponibile e collaborativa, dipingendo la sua condizione senza toni vittimistici, sebbene, in alcuni momenti, si siano manifestate forti reazioni emotive, ma manifesta numerosi spunti di rigidità che determinano significative difficoltà nel riconoscimento e nella successiva elaborazione della sofferenza. 

Infatti all’indagine, risulta essere compromessa la capacità introspettiva e di elaborazione interiore delle esperienze. I maltrattamenti psicologici e fisici e la violenza sessuale subita dal marito, con il percorso di sofferenza sperimentato, hanno portato Gloria a confrontarsi direttamente con la sofferenza, il dolore ed anche la paura della morte. 

Emerge un costante tono depressivo dell’umore dove dominerebbero vissuti di rovina e morte e una condizione di disagio psichico di tipo post-traumatico, connotata da molteplici sintomi ansioso-depressivi, iniziata nel periodo delle aggressioni fisiche, psicologiche e sessuali che dichiara aver subito per circa otto anni da parte del marito. 

Unitamente a sintomi che possono essere definiti propriamente post-traumatici, Gloria descrive vissuti intimi di tipo post-traumatico quali sentimenti di insicurezza, senso di impotenza, sensazione di minaccia costante, paura, sensazioni di sporcizia e schifo, vergogna e colpa, manifestazioni di depersonalizzazione e derealizzazione che riporterà in una ricca memoria olografica redatta durante i giorni della consulenza. 

Secondo Janet, eventi traumatici possono incistarsi nella vita psichica dell’individuo sviluppando progressivamente nel tempo una serie di idee, convinzioni e di comportamenti legati tra loro da una logica sotterranea che ha preso spunto dal fatto traumatico. 

La lunga durata e la immodificabilità del quadro sindromico, nonostante il tempo trascorso dagli eventi traumatici, mi fecero ritenere che la situazione psicopatologica fosse da considerarsi nell’ambito dei danni permanenti.

Il potenziale patogeno della vicenda vissuta da Gloria risiede anche nel fatto di non essere stato un evento puntiforme, ma una condizione prolungata, che in modo continuato, ha minato le sue barriere difensive e le sue risorse, fino al crollo psichico a fronte della violenza sessuale dichiarata. La verità di quest’affermazione, nel caso di Gloria, ha il sapore di un’amara sconfitta perché lei ci lasciato prematuramente, vinta dal portato di dolore che non ha potuto trasformare in una risorsa.

Cosa accade alle donne vittime di abuso sessuale?

La letteratura in materia di stress (e l’abuso è una delle forme più gravi di stress) è sostanzialmente concorde nel ritenere che la reazione ad un evento potenzialmente stressogeno derivi dall’interazione di tre fattori: 

  • i tratti di personalità del soggetto 
  • le caratteristiche dell’evento 
  • la valutazione cognitiva che, sulla base delle proprie cognizioni e dell’esperienza, l’individuo compie di questo 

Tanto più l’evento sarà destrutturante per le sue caratteristiche, tanto più si potranno presentare manifestazioni sintomatologiche anche in soggetti in precedenza privi di sintomatologie psichiche. 

Invece, anche fattori stressanti di lieve portata, potranno determinare esiti patologici in soggetti che presentano già una qualche forma di vulnerabilità psicologica. 

Le persone che sono state vittima di violenze hanno spesso difficoltà a rivelare la loro esperienza traumatica e difficilmente raccontano la loro esperienza di abuso. 

All’evento traumatico sono infatti spesso associati sentimenti di vergogna e di colpa, o pensieri, per così dire magici, a seguito dei quali il soggetto matura la convinzione che, evitando di parlare di quanto gli accaduto, l’evento è come se non fosse mai successo.

“La reazione che si osserva nelle vittime di stupro è simile alla reazione dei soldati in combattimento descritta come Disturbo Post-Traumatico da Stress […]. Le vittime possono regredire ad un livello di sviluppo anteriore, o divengono coartate nella loro affettività o incapaci di rapportarsi affettivamente agli altri. Esse possono sentirsi alienate e disinteressate al loro futuro. Talvolta, sorgono difficoltà di concentrazione, irritabilità e rabbia. Un comportamento ipervigile può essere rappresentato da un’esagerata risposta a stimoli esterni e dal lamentare frequenti disturbi fisiologici come vertigini, mal di testa, insonnia. La depressione, l’ansia, il comportamento impulsivo, la scarsa memoria, la labilità emotiva ed i sentimenti di colpa sono i più comuni sintomi psicologici e psichiatrici”*

In una prima fase, dopo la violenza, la donna reagisce con intontimento, disorientamento, incredulità, confusione momentanea e negazione, quindi con sentimenti di solitudine, depressione, vulnerabilità ed helplessness

A questa reazione di shock, incredulità, paralisi temporanea e negazione segue uno stato di paura contenuto, con comportamenti apparentemente calmi e regressivi. Durante questa fase, che può persistere anche per molti mesi, la paura si alterna alla rabbia, la tristezza all’esaltazione, l’auto-commiserazione al senso di colpa.

C’è poi da convivere con la paura di ulteriori aggressioni e con sbalzi d’umore, dipendenti dalla fiducia nelle proprie capacità di difendersi da nuove aggressioni. E solo in seguito, emergono reazioni attraverso le quali sono in grado di esprimere e verbalizzare la propria rabbia e la propria ansia.

“Le vittime di violenza, inoltre, indipendentemente dal tipo, presentano perdita di identità e di rispetto per se stesse.”*

Dopo un periodo che può variare da sei mesi ad un anno, la vittima, può essere in grado di valutare con più obiettività ciò che le è accaduto, e tentare di dare un senso all’esperienza vissuta. Quando questo non avviene, la sintomatologia persiste e la vittima non ha accesso ad una fase adattiva, restando bloccata sul trauma subito.

È proprio a causa delle devastanti conseguenze delle violenze sulle vittime che è fondamentale che emerga in loro “il coraggio della denuncia”, supportate in questo dalla famiglia e dalla società tutta.

*G. B. PALERMO, M. A, FARKES, D. CARPONI SCHITTAR (2002), L’abuso e la molestia sessuale. Aspetti storico-culturali, psicologici, psichiatrici e legali, Essebiemme.

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