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Riforma Cartabia: messa alla prova e giustizia ripartiva minorile

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Psicologia Giuridica

Riforma Cartabia: messa alla prova e giustizia ripartiva minorile

Miriana Ferella

Laureata in Psicologia criminologica e forense presso l’Università di Torino, corsista del corso di alta formazione Ruolo e Funzioni del Consulente Tecnico Psicologo in Ambito Minorile

Il secondo comma dell’art.28 D.P.R. del 22 settembre 1988, n. 448 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, recita: “Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”. 

Tale istituto viene definito messa alla prova e rappresenta un’innovazione nel sistema penale minorile, in quanto prevede la sospensione del processo senza la pronuncia di una sentenza di condanna nei confronti del minore. Il programma trattamentale è individualizzato, ovvero viene strutturato sulla base delle risorse personali, familiari e ambientali del ragazzo ed è condizione necessaria che egli comprenda e condivida il contenuto del progetto stesso. Si deve stimolare l’interesse e la motivazione del minore a partecipare, indicando chiaramente gli obiettivi e utilizzando metodi adeguati, monitorati sistematicamente. Il lavoro di équipe nell’elaborazione e nella gestione di tale programma, nonché la specializzazione dei professionisti coinvolti, è di fondamentale importanza. 

Le prescrizioni impartite dal giudice sono i colloqui con il servizio sociale e lo psicologo, le attività di sostegno educativo, indispensabili per il percorso di recupero e reinserimento sociale del minore; le attività di volontariato e quelle socialmente utili, rivolte alla comunità e non direttamente alla vittima del reato.

La Riforma Cartabia (d.lgs. n.150/22) è intervenuta sull’applicabilità dell’istituto della “messa alla prova”: da un lato, ampliando il novero dei reati che ne consentono l’accesso e che si prestano all’avvio di percorsi di risocializzazione e riparazione; dall’altro, prevedendo la possibilità di proporne l’applicazione anche per il PM. L’istanza di accesso alla misura premiale, perciò, può essere formulata in udienza (art. 464 bis c.p.p.) oppure nel corso delle indagini preliminari (art. 464 ter 1 c.p.p.). Al termine del periodo di sospensione prestabilito, il giudice fisserà una nuova udienza in cui, valutando il comportamento del minorenne e l’evoluzione della sua personalità, qualora vi sia esito positivo emetterà una sentenza di estinzione del reato; al contrario, una valutazione negativa, comporterà la prosecuzione del procedimento a norma degli articoli 32 e 33 (D.P.R. 448/88).

Con la Riforma Cartabia (d.lgs. n.150/22), il legislatore amplia il c.2 dell’art.28 (D.P.R. 488/88), prevedendo la possibilità che il giudice formuli l’invito nei confronti del minore a partecipare ad un programma di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le condizioni. 

Agli artt. 42-67 la Riforma Cartabia (d.lgs. n.150/22) introduce la disciplina della giustizia riparativa, da intendersi come: «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore» (art. 42 c.1, lett.a, d.lgs. n.150/22). Vengono definiti: 

  • i principi che regolano la giustizia riparativa, tra i quali vi è la partecipazione attiva e volontaria; l’equa considerazione dell’interesse della vittima e dell’autore dell’offesa; il coinvolgimento della comunità; la riservatezza; la ragionevolezza e la proporzionalità dell’esito riparativo; l’indipendenza e l’equi prossimità del mediatore; la garanzia del tempo necessario (art. 43, d.lgs. n.150/22).
  • gli obiettivi, ovvero il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità (art. 43, d.lgs. n.150/22).
  • le garanzie, in quanto la vittima e l’autore del reato hanno diritto all’informazione (art. 47, d.lgs. n.150/22) circa la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; inoltre, il consenso alla partecipazione deve essere personale, libero, consapevole, informato, espresso in forma scritta e sempre revocabile (art. 48, d.lgs. n.150/22).
Il minore comprende la gravità dell’atto compiuto?

Nel rispetto dei principi della disciplina della giustizia riparativa, nel procedimento penale minorile, l’art. 84, c.1, lett.b (d.lgs. n.150/22) recita: «In qualsiasi fase dell’esecuzione, l’autorità giudiziaria può disporre l’invio dei minorenni condannati, previa adeguata informazione e su base volontaria, ai programmi di giustizia riparativa».

Inoltre, precisa l’art. 44 (d.lgs. n.150/22) che i programmi sono accessibili senza preclusioni relative alla fattispecie di reato o alla sua gravità e l’accesso è possibile in ogni stato e grado del procedimento penale, nonché nella fase esecutiva della pena o anche dopo l’esecuzione della stessa, così come all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità o per intervenuta estinzione del reato. 

Altra novità è che, la partecipazione ad un programma di giustizia riparativa, rappresenta un elemento facente parte del progetto trattamentale, da allegare alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis c.p.p.). A tal proposito, l’art. 84, c.1, lett.b (d.lgs. n.150/22) definisce che «il giudice, ai fini dell’adozione delle misure penali di comunità, delle altre misure alternative e della liberazione condizionale, valuta la partecipazione al programma di giustizia riparativa e l’eventuale esito riparativo. […]»; pertanto, la partecipazione ad un programma di giustizia riparativa rappresenta un elemento di valutazione a vantaggio del reo minorenne.

La Riforma (d.lgs. n.150/22) è intervenuta anche in merito all’art.1 del d.lgs. 121/18, che definisce le misure penali di comunità, introduce modifiche della disciplina dell’esecuzione penale per i minori di età ed i giovani adulti all’interno degli Istituti penali per minorenni (IPM). In particolare, oltre ai principi generali secondo cui la pena deve tendere alla responsabilizzazione, all’educazione, allo sviluppo psico-fisico del minorenne ed a prevenire la commissione di ulteriori reati, il legislatore sostiene che essa deve favorire anche percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato (art. 84, c.1, lett. a, d.lgs. n.150/22). 

Come si evince dalla normativa esaminata, il sistema di giustizia minorile italiano prevede che il carcere sia l’estrema ratio; infatti, i processi penali a carico di minori si concludono per lo più con provvedimenti di messa alla prova, piuttosto che con sentenze di condanna e conseguente detenzione. 

Nello sviluppare il programma di intervento rieducativo, i professionisti sono chiamati ad individuare i bisogni criminogenici sottostanti il comportamento deviante; vale a dire che, l’intervento focalizzato sui fattori che hanno portato il minore a delinquere consente di ridurre la probabilità che vi sarà persistenza del comportamento antisociale al termine del periodo di messa alla prova, poiché si sarà insediata nel minore la premessa per un reale cambiamento. Nei programmi di intervento bisogna individuare i processi protettivi e di resilienza, formulando strategie che intervengono simultaneamente su diversi target, focalizzando l’attenzione non solo sull’individuo e sulle sue risorse personali, ma anche sulla famiglia, la scuola e la comunità. Il fine del percorso è comprendere la gravità dell’atto e stimolare l’acquisizione di valori di vita diversi. Il fallimento di un progetto trattamentale ottiene più attenzione, soprattutto a livello mediatico, rispetto all’esito positivo di molti altri; nonostante ciò, bisogna avere fiducia ed impegnarsi nella strutturazione di programmi rieducativi e di messa alla prova, offrendo al minore l’opportunità di cambiare.

Per concludere, il processo di messa alla prova non deve interferire sulla continuità educativa, bensì deve tendere alla responsabilizzazione del minore e alla riduzione dell’impatto costrittivo e afflittivo. Sebbene vi siano molteplici fattori di rischio che intervengono nel determinare una condotta antigiuridica, esistono altrettanti fattori di protezione; è proprio su questi ultimi che deve fare leva l’intervento, il cui esito dipenderà in buona parte dalla capacità di sviluppare un programma trattamentale individualizzato e dalla competenza dei professionisti coinvolti, in grado di stimolare la partecipazione attiva del minore autore di reato.

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