Prospettive transculturali della bigenitorialità
19/07/2022 2022-07-11 10:50Prospettive transculturali della bigenitorialità
Mariangelica Maoddi
corsista del corso di alta formazione Ruolo e Funzioni del Consulente Tecnico Psicologo in Ambito Minorile
La recente Riforma Cartabia della Giustizia Civile, superando l’istituto del Tribunale per i Minori, istituisce un rito unico per le famiglie, il Tribunale per le persone, i minori e le famiglie, estendendo la tutela delle donne e dei minori che subiscono violenza e rafforzando la mediazione e la negoziazione assistita, ovvero tutti quei riti che si svolgono al di fuori dei Tribunali, volendo raccogliere istanze e controversie che si sono delineate in campo giuridico nel corso del tempo.
Si considera che nei cambiamenti sociali, intervenuti negli anni nel nostro Paese, si rifletta una diversa cultura dei diritti e, in ottemperanza ai principi espressi dalla Carta Costituzionale ed in linea con la Carta dei diritti universali dell’uomo, entrambe formulate nel 1948, nonché con i più recenti principi dei diritto di ciascun minore alla bigenitorialità, valorizza la qualità di vita del nucleo familiare. Con il termine bigenitorialità, introdotto nel 1989, la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia definisce il minore come soggetto di diritti e non solo destinatario di protezione e tutela.
L’iniziale idealizzazione avvenuta con la legge 54/2006, intesa come conquista sociale di affermazione del diritto dei minori alla bigenitorialità, ha incontrato criticità dettate dalle difficoltà concrete di applicazione. Si potrebbe dire che si sia determinata una perfezione ideale della legge, ma una imperfezione sostanziale nelle sue possibilità applicative. Infatti, il periodo di lungo rodaggio seguito negli anni ha prodotto necessarie revisioni che riguardano gli aspetti concernenti il riconoscimento della pari dignità tra i coniugi nella condivisione delle responsabilità genitoriali. I passi delle norme di legge modificati sono quelli in merito all’esercizio congiunto sia della potestà genitoriale che amministrativa e sottintendono, nel merito, un suggerimento a superare le eventuali conflittualità nei casi di divorzio e separazione, sancendo il principio che i minori abbiano diritto a conservare un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori, con le famiglie d’origine ed i luoghi frequentati ( art.155, comma I cod.civ.)
Tutto ciò ha orientato anche le narrazioni psicologiche, oltre al gap riproposto tra teoria e pratica.
L’aspetto della modifica della legge 54/2006 e la revisione delle disposizioni art.155-bis-ter c. c. privilegiano l’aspetto conciliativo. Criticità si intravedono nelle norme che tutelano il diritto dei minori alla bigenitorialità come esercizio della responsabilità genitoriale, rendendo possibile la partecipazione di entrambi i coniugi alla cura, educazione e istruzione dei propri figli in caso di separazione o divorzio, agli aspetti dei figli relativi all’affido, alla collocazione, al diritto di visita e all’esercizio ed attribuzione della potestà genitoriale che si trasforma in responsabilità genitoriale. La Suprema Corte (Corte di Cass.19/06/2008) ha anche ribadito la legittimità d’interpretazione che determina l’affermazione secondo cui i minori hanno i diritti e i genitori hanno il dovere di applicare tali principi secondo le situazioni e i vissuti, superando asprezze e conflitti familiari anche in presenza di scelte diverse a favore di affido esclusivo o super esclusivo.
Le criticità riguardano le situazioni familiari in presenza di minori che non si allineano agli schemi delle norme poiché le numerose realtà, anche multiculturali, si manifestano con varie eccezioni in deroga alla bigenitorialità. Si conviene che la legge non è prescrittiva, bensì orientativa, e le interpretazioni, soprattutto psicologiche, costituiscono materia fluida.
Per chiarezza serve un contributo critico di più discipline teoriche delle Scienze Umane (Sociologia, Antropologia e Psicologia ) su una questione così complessa. Numerosi convegni e pareri esperti hanno confermato un’evoluzione della tradizionale impostazione di tutti gli ordinamenti dei Paesi che condividevano l’adesione alla Carta del diritti dei minori e degli adolescenti, in cui la tutela del minore era quasi sempre riconosciuta in capo al genitore più presente ed in grado di tutelare, che di solito era la figura di riferimento, quasi sempre la madre. Oggi l’evoluzione della legge ha dato luogo al modello unico di bigenitorialità.
La linea orientativa di ciascun paese aderente alla Carta dei diritti ha adattato i principi giuridici alle proprie tradizioni e culture, sia nei casi di separazione o divorzio e sia nei casi di conflitti molto gravi tra coniugi e che non si accordano nel gestire insieme i figli, soprattutto quando è diffusa la violenza domestica. Comparando pareri diversi di studiosi occidentali sia dell’UE, sia statunitensi, canadesi, britannici e australiani, si nota che tutti hanno sollevato obiezioni inerenti il principio del diritto del minore alla bigenitorialità. Essi affermano che è un modello unico fortemente ideologizzato. Si avverte in queste confutazioni come la crisi della giustizia sia lo specchio della generale crisi delle famiglie. Si conferma lo schema astratto che non tiene conto delle numerose questioni alla luce dell’evoluzione epocale che ha coinvolto le famiglie. Le famiglie sono unità dinamiche soggette a cambiamenti continui, che possono manifestarsi a diversi livelli strettamente interdipendenti (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Nello specifico, nei casi di separazioni o divorzio con l’affido di figli, il rapporto tra coniugi deve essere considerato come astrattamente paritario ed unicamente valido a beneficio del minore. Questa posizione non è suffragata dagli studi scientifici della neuropsichiatria infantile, delle teorie psicodinamiche e sistemiche relazionali e anche dai casi, numerosissimi, di famiglie monoparentali, quelle arcobaleno omosessuali e non.
Alcune ricerche internazionali avanzano l’idea che ciò sia dovuto al pregiudizio educativo che uniforma la regolamentazione giuridica, proponendo un modello unico. Le critiche riguardano il tentativo di liquidare gli spazi e i tempi di negoziazione delle controversie: spazi che rendono, invece, manifeste le complessità delle crisi familiari e le condotte violente degli adulti a discapito dei minori; tempi di negoziazione che comportano la presa d’atto che le soluzioni sono necessariamente difficili e complesse.
Tuttavia, anche quando si rivolge lo sguardo a quelle famiglie tradizionali, cosiddette regolari, che si disgregano, l’esperienza concreta vede che il tempo dedicato dalle madri ai propri figli è scompensato nei tempi e modi a discapito dell’affermazione lavorativa e sono pochi i padri che chiedono congedi parentali e che si dispongono a dedicare tempo ai figli, se non ricorrendo all’aiuto dei nonni. Persistono inoltre comportamenti dannosi intra-familiari, nonostante tutte le riforme succedutesi. Occorre evidenziare che la patologia non è la separazione in sé, ma il tipo e la qualità di relazione che caratterizza le coppie che si separano e che investe, di conseguenza, i minori.
In Australia, ad esempio, si è dovuta rivedere tutta la legislazione, così, dopo aver scelto il modello unico della responsabilità genitoriale – quello dell’”equal parental responsibility” (pari responsabilità genitoriale) e dell’”equal time” (pari tempi) -, si è adottata la mediazione familiare obbligatoria (salvo nei casi di violenza domestica), abolendo la “friendly parent provision”. L’Australia ha stabilito che il diritto del minore alla propria sicurezza psico-fisica è da considerarsi prevalente rispetto al diritto alla bigenitorialità. La riforma australiana ha modificato il procedimento di affido del minore, modulando sui suoi bisogni il concetto di genitorialità responsabile. In tal senso, è fondamentale l’introduzione dell’approfondimento e dell’ampliamento del concetto di violenza e abuso in famiglia, includendo anche l’esposizione del minore da parte del genitore violento alla violenza assistita e ogni comportamento negligente o psicologicamente dannoso per il figlio, così come il controllo sociale ed economico del partner sull’altro partner o sui figli.
Il giudice deve considerare non solo i provvedimenti passati in giudicato, ma anche quelli cautelari, quelli remoti nel tempo, quelli continui e persistenti oltre a verificare l’entità dei disagi subiti dai minori. L’esperienza australiana si confronta con altre legislazioni di molti paesi europei ed extra-europei (USA, Canada, ecc.) e conclude che l’affidamento condiviso sempre e comunque non solo si è rivelato dannoso e pericoloso per i minori nei casi di violenza intra familiare, ma può avere effetti negativi “destabilizzanti” anche in varie altre situazioni e dovrebbe pertanto essere applicato solo a determinate condizioni. Può funzionare con alcune famiglie, con altre è rischioso. Qualsiasi accordo parentale può essere positivo o negativo per i figli, in funzione delle circostanze.
Inoltre, moltissimi Paesi hanno subito rigettato la teoria della PAS – Parental Alienation Syndrome come priva di sostenibilità scientifica e frutto di forzatura del diritto alla bigenitorialità come prescrittivo. La clinica psicodinamica rifiuta un approccio schematico e riduttivo, tipico di certe interpretazioni giuridiche.
Davanti al conflitto genitoriale che segue la separazione, il bambino tenta di instaurare un’alleanza con il genitore in grado di fornirgli un supporto affettivo, al caro prezzo di un’adesione totale al suo atteggiamento disfunzionale. Secondo Montecchi e Montecchi (2013), a dispetto di quanto il bambino dichiara, a livello intrapsichico egli ha un grande desiderio del genitore rifiutato. Il rifiuto del bambino rappresenta «un sintomo di una condizione clinica complessa che il bambino mette in atto per proteggersi dalla sofferenza. Pensare al rifiuto come l’elemento centrale è come considerare solo la tosse nella polmonite».
Non sono importanti le condotte negative del genitore alienante che, a parere dei clinici di approccio relazionale sistemico, rappresenta una sottovalutazione del problema. L’ottica sistemica considera circolare la triade familiare che autoalimenta l’alienazione, sostenendo paradossalmente il sistema disfunzionale. L’Alienazione Parentale è piuttosto una dinamica relazionale familiare disfunzionale in cui padre-madre-figlio “giocano un loro ruolo” (Gulotta, Cavedon, Liberatore, 2015).
La teoria della PAS è dichiarata dall’Associazione nazionale degli psicologi americani come non utilizzabile e definita un’invenzione dalle Associazioni sia degli psicologi che da quella degli psichiatri ed oggi anche dalle Corti europee, compresa quella italiana.
Bibliografia
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Ricerca Wave sull’affidamento condiviso, l’esperienza australiana.
Malagodi Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Caravelli L., Villa F. (2009), “Affidamento condiviso e condivisione della genitorialità all’indomani della rottura coniugale”, in Minori e Giustizia, p. 200.
Montecchi F. (2006), Dal bambino minaccioso al bambino minacciato, Franco Angeli, Milano.
Morozzo della Rocca P. (2006), “Alcune osservazioni critiche alla Legge sull’affidamento condiviso”, in Minori e Giustizia, n. 3.
Parrini A. (2008), Separazioni distruttive tra conflittualità ed alienazione. Aspetti psicologici e giuridici, Francavilla al Mare (CH), Psiconline Edizioni.
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Pezzuolo S., Paolucci M., “La complementarietà genitoriale nell’educazione dei figli in caso di separazione e divorzio: il ruolo del padre nella crescita del minore”, in PSYCHOMEDIA Telematic Review
Montecchi F., Montecchi FR. (2013), “Separazioni ad alta conflittualità e Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS): imbroglio diagnostico o realtà clinica? Dalla parte dei minori”, in Minori e Giustizia, n. 4, pp. 186-197.
Gulotta G., Cavedon A., Liberatore M. (2015), La sindrome da alienazione parentale (PAS). Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, Hoepli.
esposizione chiara e completa