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Minori e omicidio volontario. Il report del Servizio Analisi Criminale
17/04/2025 2025-04-22 15:29Minori e omicidio volontario. Il report del Servizio Analisi Criminale

Minori e omicidio volontario. Il report del Servizio Analisi Criminale
L’omicidio volontario rappresenta uno degli atti più estremi della devianza umana, soprattutto quando coinvolge soggetti minorenni, sia nel ruolo di autori che in quello, ancor più drammaticamente, di vittime.
I dati emersi dal report del Servizio Analisi Criminale relativi al decennio 2015–2024 evidenziano un’evoluzione significativa e preoccupante del fenomeno. Nell’anno 2024, la percentuale degli autori minorenni di omicidio si attesta all’11%, triplicata rispetto al 4% registrato nel 2023. Parallelamente, le vittime minorenni rappresentano il 7% del totale, con un incremento quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente.
Dal punto di vista psicologico, l’autore minorenne di un delitto omicidiario non può essere compreso mediante l’applicazione di categorie adulte della colpevolezza. Il minore è un soggetto in fase evolutiva, caratterizzato da una struttura psichica non ancora stabilizzata, la cui capacità di regolazione emotiva, giudizio morale e controllo degli impulsi è per sua natura ridotta rispetto all’adulto. Gli atti estremi di violenza commessi in età adolescenziale si collocano frequentemente all’interno di cornici di forte disregolazione affettiva, contesti ambientali deprivanti o traumatici, e possono essere letti come esiti di esperienze di vittimizzazione precoci, trascuratezza, o esposizione prolungata alla violenza. Non di rado, tali comportamenti sono l’espressione disorganizzata di un bisogno di affermazione o di appartenenza, che trova spazio in dinamiche di gruppo disfunzionali o in modelli relazionali fortemente compromessi.
L’ordinamento giuridico italiano, attraverso il sistema penale minorile, riconosce la peculiarità del soggetto minorenne imputato e orienta la risposta giudiziaria verso un approccio educativo e rieducativo, conformemente ai principi sanciti dagli strumenti internazionali di tutela dell’infanzia. In particolare, l’articolo 2 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, prevede il trattamento penale del minorenne in un’ottica di recupero e reinserimento sociale, contrapposto a una logica puramente punitiva. Inoltre, l’articolo 98 del Codice Penale stabilisce che la capacità di intendere e di volere del minore può essere ridotta, in relazione all’età e alla maturità psicologica del soggetto, influenzando così la sua responsabilità penale.
Tuttavia, l’inasprimento dei casi gravi, come gli omicidi, pone interrogativi urgenti sulla reale efficacia preventiva del sistema, nonché sulla capacità di intercettare precocemente situazioni di disagio psichico e sociale che possono degenerare in condotte criminali. A questo proposito, l’articolo 27 della Costituzione Italiana sancisce il principio della finalità rieducativa della pena, indicando la necessità di un intervento mirato e individualizzato per i minori.
Sotto il profilo delle vittime, l’aumento dei minori uccisi risulta particolarmente allarmante. L’analisi delle dinamiche relazionali tra vittima e autore indica che nella maggior parte dei casi si tratta di omicidi intra-familiari o comunque agiti da adulti con un legame affettivo o parentale con la vittima. Tali delitti si collocano spesso nell’ambito di contesti familiari fortemente disfunzionali, segnati da situazioni di malattia mentale, isolamento, conflittualità cronica o esiti tragici di crisi relazionali non gestite. Nei casi più estremi, il gesto omicidiario si accompagna al suicidio dell’autore, configurando situazioni di “omicidio pietatis causa” o “omicidio-suicidio”, che riflettono una disperazione totalizzante e una visione distorta della protezione genitoriale.
Dal punto di vista giuridico, l’uccisione di un minore configura un’aggravante specifica prevista dal Codice Penale all’articolo 577, che comporta un significativo aumento della pena, pari alla pena prevista per l’omicidio volontario, in caso di omicidio di un minore di anni 18. Tuttavia, l’intervento sanzionatorio, per quanto doveroso, interviene in una fase successiva e non è sufficiente, da solo, a proteggere l’infanzia. Occorre rafforzare le reti territoriali di prevenzione primaria, investire nei servizi sociali e sanitari, sostenere le famiglie fragili, e garantire un raccordo efficace tra scuola, servizi psicoeducativi e autorità giudiziaria minorile, come previsto dalla Legge 328/2000, che promuove un sistema integrato di interventi sociali.
Il dato relativo all’aumento degli omicidi commessi da minori e ai danni di minori non può essere letto come una mera oscillazione statistica, ma come il sintomo di un malessere collettivo, che coinvolge più livelli del tessuto sociale. La violenza minorile grave non nasce improvvisamente: essa è quasi sempre preceduta da segnali di disagio, devianza latente o sofferenza non riconosciuta. È pertanto indispensabile un intervento sistemico e continuativo, volto a tutelare il minore non solo come soggetto da correggere, ma come persona da comprendere e da proteggere.
La responsabilità degli operatori del diritto, degli psicologi giuridici e dei decisori pubblici è, oggi più che mai, quella di costruire percorsi di prevenzione strutturati, capaci di unire la necessaria fermezza repressiva con un impegno autentico alla promozione del benessere psicosociale dei minori, affinché non debbano mai trovarsi, tragicamente, né dalla parte della vittima, né da quella del carnefice.
Riferimenti:
Nel Corso “La valutazione della capacità a testimoniare nei minori, vittime o testimoni di violenze” si affronta un tema molto delicato, quello della capacità del minore a rendere testimonianza, che richiede competenze specifiche da parte dello Psicologo Giuridico e Forense, il quale, nella sua valutazione, dovrà basarsi su precise aree di indagine come suggerito dalle Linee guida nazionali. L’ascolto del minore testimone.
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