Intelligenza artificiale: un'alleata per il lavoro intellettuale

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Intelligenza artificiale: un’alleata per il lavoro intellettuale

Intelligenza artificiale
Psicologia Giuridica

Intelligenza artificiale: un’alleata per il lavoro intellettuale

Alessia Mensurati, psicologa giuridica, formata in Neuropsicologia clinica e riabilitativa, con background in Neuroscienze Cliniche. Appassionata di Psicologia Giuridica e Neuropsicologia Forense, collabora con la redazione di Psicologia in Tribunale.

Cos’è e come si è sviluppata?

Nel 1971, un brillante e visionario John McCarthy, all’epoca quarantaquattrenne, si presentava alla cerimonia di consegna del prestigioso Premio Turing. Con il suo operato ha rivoluzionato l’informatica e coniando – nel 1955 – il termine di cui negli ultimi anni si sente parlare di continuo: l’intelligenza artificiale. Ha contribuito non solo linguisticamente, ma anche con la creazione della famiglia di linguaggi di programmazione denominata Lisp, fondamentale per la ricerca e lo sviluppo dell’IA. La sua eredità, circa settant’anni dopo, continua a influenzare la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’IA, fornendo le basi per svariate innovazioni attuali.

Ad oggi l’IA è ancora ben lontana dal sogno di replicare l’intelligenza umana, ma si è evoluta al contempo di altre potenti e diversificate tecnologie, quali il machine learning e le reti neurali, che consentono ai sistemi di apprendere dai dati ed eseguire compiti complessi con efficienza, cose che all’epoca di McCarthy erano solamente un sogno.
Per McCarthy ed altri pionieri dell’informatica e delle neuroscienze, l’IA rappresentava un obiettivo assai ambizioso: creare sistemi capaci di ragionare, apprendere e risolvere problemi autonomamente, ricalcando i processi tipici della mente umana. Per la corrente ideologica dell’epoca si era convinti che la mente potesse essere replicata precisamente attraverso l’uso di algoritmi e logiche matematiche, ma successivamente questo campo di ricerca ha subito notevoli trasformazioni, passando quindi dall’imitazione dell’intelligenza umana alla creazione di strumenti autonomi specializzati in compiti specifici.

L’IA attualmente è ovunque: ci permette di selezionare film sulle piattaforme di streaming, di completare frasi nelle nostre app di messaggistica ed è entrata persino in ambito sanitario. Ma come funziona precisamente?

Alla base di molte delle applicazioni attuali c’è il machine learning, un modello di analisi dei dati fondato sulla statistica e sulla matematica che si basa sull’idea che i sistemi possono apprendere automaticamente dai dati messi a loro disposizione, senza il continuo intervento umano. Attraverso il machine learning vi è un’elaborazione di grandi quantità di dati, dove le analisi e le individuazioni dei pattern migliorano continuamente sulla base delle interazioni, senza limitarsi al seguire istruzioni rigide, ma si affina e cresce.

PotenzialitĂ 

L’ambito dell’IA è, ad oggi, un ecosistema variegato che comprende diversi tipi di tecnologie specializzate. Tra queste, una delle più innovative ed anche tra le più conosciute è proprio l’IA generativa che crea – sulla base di un prompt (traduzione di richiesta/comando) – crea testi, immagini, musiche e persino video. Le altre, ovvero l’IA tradizionale e quella predittiva, sono sistemi diagnostici che analizzano ed interpretano, piuttosto che creare e generare. L’IA tradizionale è usata per automatizzare i processi decisionali basati su rigide regole e dati strutturati, come ad esempio la gestione elettronica di un magazzino. L’IA predittiva, che utilizza anche i modelli di machine learning, analizzano dati passati per fare previsioni future ed è applicata, ad esempio, nel trading finanziario o nella meteorologia.

Questa tecnologia ha potenzialità enormi, ma dietro l’entusiasmo comunemente condiviso è necessario ricordare che ha anche dei limiti: è pur sempre un modello che cerca di somigliare all’intelligenza umana, ma senza comprendere il significato delle parole, soggetto ad interpretazioni errate o sviste grossolane che richiedono sempre un’attenta supervisione.

L’IA generativa sta, quindi, ridefinendo molti degli aspetti della nostra quotidianità: dalla creazione di testi, ai contenuti visivi, al supporto in certe attività professionali, offrendo una serie di opportunità che fino a pochi anni fa sembravano impossibili. Tale tipologia di intelligenza artificiale può avere diversi impatti dal punto di vista neuropsicologico legati al nostro modo di interagire, apprendere e sul modo in cui ci adattiamo a questa stessa tecnologia.

Può essere uno strumento utile per la facilitazione dell’apprendimento, personalizzando i contenuti sulla base delle necessità dell’utente, consentendo un’accessibilità all’apprendimento mai avuta prima. Ciò, ad esempio, potrebbe promuovere processi di neuroplasticità, soprattutto se si parla di soggetti ancora molto giovani, migliorandone le capacità di apprendere.

 

CriticitĂ 

Al contempo, però, può aumentare il rischio di passività cognitiva, in quanto l’automatizzazione di attività complesse come la scrittura di un testo, la concettualizzazione di idee, l’apprendimento di un vocabolario variegato, le capacità di analisi critica, possono essere alterate. L’impegno cognitivo normalmente richiesto potrebbe alleggerirsi eccessivamente, portando a lungo andare ad un’atrofia delle funzioni cognitive legate all’elasticità mentale, la risoluzione dei problemi e la memoria.

Altri fenomeni riscontrabili già attualmente, ma che potrebbero peggiorare sono gli effetti legati ad un sovraccarico informativo che influenzano negativamente l’attenzione sostenuta e la capacità di filtrare le informazioni importanti, fino a giungere ad un vero e proprio burnout da stimolazione. In aggiunta, potrebbe diffondersi ulteriormente quella che viene comunemente definita “digital amnesia”, ovvero una tendenza della mente a diventare più pigra, meno motivata al memorizzare informazioni in quanto disponibili in un click. 

A livello emotivo, una costante interazione con un modello generativo che simula le emozioni, potrebbe portare all’apprendimento di una metodica di espressione delle emozioni molto artificiosa, andando ad alterare il nostro modo di sviluppare empatia o interagire con altri esseri umani. Senza contare che l’affidamento eccessivo all’IA potrebbe ridurre le esperienze sociali dirette: è più facile e veloce porre una domanda a ChatGPT che ad un amico di cui bisognerebbe aspettare la risposta.

Gli impatti neuropsicologici però possono variare a seconda dell’età con un maggior vantaggio per gli adolescenti ed una maggiore vulnerabilità per gli anziani poco avvezzi alle tecnologie complesse. L’IA potrebbe essere usata nell’ambito clinico e riabilitativo, per stimolare le funzioni compromesse in pazienti con danni cerebrali o difficoltà di apprendimento ed è quindi ipotizzabile, a fronte di tutto ciò, che l’interazione con l’intelligenza artificiale potrebbe portare ad una ridefinizione dell’identità e dell’autonomia personale.

L’IA non porta però solo benefici, ma solleva una serie di interrogativi soprattutto di natura etica che meritano una riflessione. Tra i rischi principali abbiamo la generazione di contenuti falsi ma estremamente realistici, con diffusione di fake news ed espansione della disinformazione. L’apprendimento dell’IA avviene per l’elaborazione dei dati, ma se quelli presenti ed accessibili sono parziali o dovuti a bias, il prodotto che deriva dall’uso dell’intelligenza artificiale può riflettere pregiudizi ed accrescere le discriminazioni. Ad esempio un modello utilizzato nel reclutamento che fonda le sue analisi su concetti errati sulle donne o le persone di colore, potrebbe discriminarle ed escluderle dalla selezione.
L’uso maggioritario di una comunicazione artificiale, rispetto a quella umana, potrebbe confondere e creare legami emotivi non realistici che impattano sulle relazioni interpersonali dei singoli ed anche sulla loro salute mentale. Senza contare che sono da prendere in considerazione anche i problemi relativi alla privacy, con rivelazione di dati sensibili, creazione di immagini artificiali per il furto d’identità, eccetera.

I dilemmi etici che sfociano anche nell’ambito giuridico sono molteplici: chi sarebbe responsabile se l’IA genera un contenuto dannoso? Come è possibile regolamentare l’uso dell’IA per evitare discriminazioni o per evitare la diffusione di contenuti pericolosi o fuorvianti?

Il futuro dell’IA, ma anche il nostro come società, dipenderà dalla nostra capacità di comprendere come integrare questa tecnologia in modo etico, scientifico, legale e civile. Solo così si potrà trarre il massimo beneficio da queste innovazioni, senza perdere di vista le peculiarità della nostra umanità.


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