Delinquenza minorile, quali i fattori di rischio?
15/12/2022 2022-12-18 17:38Delinquenza minorile, quali i fattori di rischio?
Sara D’Angelo
laureata in psicologia criminologica e forense all’università di Torino
L’elevato numero di adolescenti coinvolti in attività criminali ha condotto chi opera in ambito minorile ad interrogarsi su cosa possa indurre un giovane a violare la legge e commettere reati, anche efferati. Per svolgere tale analisi viene posto il focus sul vissuto dell’adolescente e sulle variabili biologiche, psicologiche, psicopatologiche e sociali, che possono aver contribuito alla messa in atto di comportamenti devianti: i cosiddetti fattori di rischio criminogeni.
Come per ogni comportamento umano però, risulta impossibile definire con precisione la natura dei crimini, quali fattori abbiano condizionato la genesi della devianza e come. I fattori di rischio presentano numerose caratteristiche ed interagiscono tra loro seguendo modalità complesse. Essi non esercitano la loro influenza sull’agire degli individui in maniera lineare, causale e precisa e la loro presenza, per quanto associata ad una maggiore probabilità che l’individuo commetta un reato, non determina necessariamente che ciò avvenga. Inoltre, qualora co-esistano più condizioni di disagio, il rischio che esse conducano ad un outcome criminoso è determinato dalla precocità, dalla durata e dall’intensità dell’esposizione dell’adolescente a tali fattori (dose-exposure relationship) che aumenta o diminuisce la probabilità di comportamenti devianti. (Zara, 2016) I fattori di rischio che possono influenzare la commissione dei reati possono classificarsi in fattori individuali e sociali in base alla loro natura.
Dal punto di vista individuale, la ricerca sperimentale in campo neuropsicologico mostra il cervello dell’adolescente come un organo in progress poiché alcune aree ultimano il proprio sviluppo solo nella prima età adulta (Sowell, 1999).
Una delle strutture cerebrali che matura per prima è il sistema limbico, coinvolto nell’elaborazione e nell’espressione delle emozioni, mentre la corteccia prefrontale, che agisce in via diretta sul controllo e sulla interpretazione delle
stesse, raggiunge il suo spessore definitivo solo dopo i 20 anni. Tali evidenze potrebbero spiegare negli adolescenti una maggiore instabilità emotiva e una ridotta capacità di modulare adattivamente i propri impulsi. (Siegel, 2014)
Sempre a livello biologico, anomalie nello sviluppo delle regioni orbitofrontali possono causare alterazioni neurocomportamentali e deficit cognitivi che si manifestano in difficoltà nella regolazione del comportamento adattivo all’ambiente e nel controllo degli impulsi (Toshiya 2012); anche lesioni alle succitate aree possono avere significativa rilevanza in ambito criminologico e ne rappresenta un classico esempio la cosiddetta “sociopatia acquisita”, dove il soggetto mostra problematiche nella pianificazione coerente delle proprie azioni, alterazioni
dell’umore e disinibizione sociale. (Damasio, 1994).
L’adolescenza, inoltre, si caratterizza come la fase evolutiva in cui i disturbi della personalità iniziano a rendersi manifesti. È opportuno puntualizzare che l’opinione diffusa secondo cui i disturbi della personalità, o in generale qualsiasi disturbo mentale, siano strettamente associati ad una condotta delinquenziale riflette un’idea stereotipata e riduttiva: diversi studi dimostrano, infatti, come non vi sia una maggiore incidenza della commissione di reati nella popolazione psicopatologica, ma come i fattori di rischio che influiscono prevalentemente siano sesso maschile, giovane età, background famigliare disfunzionale ed abuso infantile, i quali condizionano in egual misura tanto gli individui affetti da patologia mentale quanto il resto della popolazione. (Ponti, 2008).
Dal punto di vista sociale, è noto come la famiglia rivesta un ruolo centrale nello sviluppo e nell’educazione dell’individuo: un contesto disfunzionale che propone modelli inadeguati o negativi che mostrano sfiducia nei confronti della giustizia e approvano o incoraggiano scelte pro-criminali può determinare nell’adolescente un difetto nella formazione delle istanze superiori della personalità, causando difficoltà nei rapporti con le figure autoritarie, l’inosservanza delle leggi e favorendo, pertanto, condotte delinquenziali. Inoltre, accade purtroppo frequentemente che personalità maltrattanti verso i figli siano state a loro volta vittime di abusi in famiglia ed attuino una continuità intergenerazionale della violenza, un ciclo dell’abuso entro il quale l’adolescente può tendere a normalizzare gli schemi devianti appresi e perpetrarli a sua volta.
Anche la scuola assume un ruolo fondamentale nell’evoluzione del giovane in quanto rappresenta il primo contesto relazionale in cui egli mette alla prova la propria capacità di adattamento e di confronto con la società e con le sue regole: in tale ambiente un adolescente emarginato, deriso o vittima di stigmatizzazione potrebbe tendere a riconoscersi nell’etichetta negativa attribuitagli, con un possibile impatto sullo sviluppo dell’identità, sulla sua futura condotta e sull’edificazione di una personalità deviante.
L’identità rappresenta, infatti, un tema centrale nell’adolescenza poiché il giovane si trova ad affrontare una fase evolutiva caratterizzata da un processo di separazione-individuazione, che consiste nell’abbandonare la nicchia affettiva primaria dell’infanzia e nell’affermarsi come una persona adulta e distinta dai genitori.
In questa fase il gruppo dei pari svolge un ruolo fondamentale all’interno del quale l’adolescente trova un senso di appartenenza, ricerca e costruisce i propri valori e, soprattutto, sperimenta nuove norme sociali, nuovi modi di relazionarsi e nuove dimensioni di sé che possono talvolta scaturire nell’attrazione verso situazioni che sfidano le regole e nel coinvolgimento in attività pericolose.
Tali condotte, attuate nella maggior parte dei casi con la complicità e la connivenza di altri membri del gruppo (co-offending), sono guidate principalmente da una non percezione del rischio, dal desiderio di trasgredire e dalla volontà di essere approvato dai coetanei: se da una parte si rivelano funzionali alla differenziazione e alla “costruzione” dell’identità personale e sociale, dall’altro si traducono in facilitatori di rischio di comportamenti delinquenziali (Fuligni, 2002) il cui esordio influisce in maniera significativa sulla stabilizzazione, durata e gravità di una carriera criminale.
Dopo il primo reato commesso dal giovane, saranno le esperienze successive a definire se il fatto possa intendersi come primo e unico (in questo caso egli sarà qualificato come one time offender) o se rappresenti un segnale di difficoltà e di antisocialità tale da facilitare la strutturazione di una carriera criminale la cui continuità potrebbe essere favorita dall’ambiente in cui l’adolescente è inserito. (Farrington, 1997)
I giovani subiscono l’influenza di un numero quasi illimitato di elementi che interagiscono secondo dinamiche articolate e si trovano all’interno di una fase evolutiva complessa e delicata: al fine di individuare e valutare il rischio di commissione di reati è pertanto assolutamente necessario avvalersi di un approccio multi-comprensivo adoperando modelli esplicativi che abbraccino le sfere bio-psico-sociali dell’individuo.
Bibliografia
Damasio H., Grabowski T., Frank R., Galaburda A.M., Damasio A.R. (1994), “The return of Phineas Gage: clues about the brain from the skull of a famous patient”, in Science
Farrington D.P. (1997), “Human development and criminal careers”, in Maguire M., Morgan R., Reiner R. (a cura di), The Oxford handbook of criminology, Oxford University Press, Oxford.
Fuligni C., Romito P. (2002), Il counselling per adolescenti. Prevenzione, intervento e valutazione, McGraw-Hill, New York.
Ponti G., Merzagora Betsos I. (2008), Compendio di criminologia, Raffaello Cortina, Milano.
Siegel D.J. (2014), La mente adolescente, Raffaello Cortina, Milano.
Sowell E., Thompson P., Holmes C. et al. (1999), “In vivo evidence for post-adolescent brain maturation in frontal and striatal regions”, in Nature Neuroscience.
Toshiya, F. (2012), “Some hints to understand executive function”, in Ninchi shinkei kagaku.
Zara G. (2016), Valutare il rischio in ambito criminologico. Procedure e strumenti per l’assessment psicologico, Il Mulino, Bologna
A differenza di altri corsi questo è stato fondamentale tutto è stato esposto in maniera chiara ed esaustiva. Vorrei che…