Ultimi Commenti
Percorso formativo eccellente, per la chiarezza espositiva ed i contenuti. Come del resto tutte le iniziative di "Psicologia in Tribunale"…
Ottimo webinar con spunti di riflessione pratica
Molto, molto interessante. L'intervento della dottoressa Moretti coinvolgente e ricalca la mia esperienza personale, sittolineando l'importanza delle varie professionalità coinvolte.
Percorso molto interessante
Tetti Rossi. La dismissione del manicomio di Arezzo negli anni ’70
14/10/2023 2023-10-15 12:00Tetti Rossi. La dismissione del manicomio di Arezzo negli anni ’70

Tetti Rossi. La dismissione del manicomio di Arezzo negli anni ’70
Stefania Tucci
Psicologa, psicoterapeuta, divulgatrice scientifica, co-founder di Psicologia in Tribunale
Ero poco più che una bambina, quando cominciammo a vedere aggirarsi per le strade della città strani figuri. Sembravano aver timore di tutto quello spazio che improvvisamente si era spalancato davanti ai loro occhi, e lo solcavano un po’ curvi, quasi a nascondersi. Ispiravano curiosità, paura? Non saprei dire. A me suggerivano tenerezza.
Erano gli anni dell’Austerity, e le strade erano vuote e silenziose. Si andava a piedi, lontano da casa. Anche per me, per noi, preadolescenti, la città era qualcosa da conquistare in libertà, come per loro, per la prima volta. E ti poteva capitare che una domenica pomeriggio, uno di quei pomeriggi tersi e freddi d’inverno, ti fermassero per chiederti qualcosa: una moneta, una sigaretta, una parola.
E poi, a scuola, eh sì perché anche la scuola in quegli anni era qualcosa di “diverso”: non un semplice luogo di studio, ma di scambio e confronto, un luogo che si apriva alle istanze di una società in fermento, un luogo di esperienza. E ti poteva capitare che qualche insegnante ti parlasse di quello che succedeva nel mondo, e che lo si mettesse in scena, che ti parlasse del conflitto israelo-palestinese, la guerra dello Yom Kippur. Corsi e ricorsi della storia!
Ma anche di quello che stava accadendo proprio sotto i nostri occhi, in città. Che ti parlasse di Basaglia e della sua opera di “liberazione”, per un nuovo modo di trattare la malattia mentale. Che ti parlasse dei “Tetti Rossi”.
Con questo nome si indicava il manicomio ad Arezzo. Una città nella città, costruita fuori dalle mura, lontano dagli sguardi, ma che poi aveva finito per essere inglobata dalla città che, dal dopoguerra, aveva iniziato ad espandersi a macchia d’olio. Ed era dall’alto del centro storico che, prima che si erigessero i palazzi della città moderna, si dovevano scorgere quei “tetti rossi”, quei palazzi circondati da un bellissimo parco, ma da mura invalicabili.
E scoprivi che dalla polvere degli archivi affioravano storie di vita. Storie dolorose e tragiche, come quelle di donne fatte passare per pazze dai mariti, con la connivenza di medici compiacenti, solo perché si voleva cambiare donna.
Oppure, ancora peggio, riesumando le cartelle cliniche degli ospiti del cimitero – sì, perché la città dentro la città aveva anche il suo cimitero, lontano e diverso da quello comunale -, scoprire che si poteva essere entrati lì a sei mesi, per una banale epilessia, e che non se ne fosse usciti più.
Credo che fu grazie a quelle esperienze che scelsi, già allora, che la mia strada, la strada della “liberazione”, sarebbe stata quella della liberazione dalla “malattia mentale”, dallo stigma e dalla segregazione. Scelsi, allora, dodici/tredicenne, di occuparmi della psiche e di diventare, essere?, una psicologa.
Ed è per questo che ho letto con grande interesse e che voglio presentare qui un testo, fresco di stampa, pubblicato dall’editore Pacini nella collana Le ragioni di Clio, scritto egregiamente e con dovizia di documenti da Caterina Pesce, Pratiche di liberazione. Il manicomio di Arezzo negli anni di Agostino Pirella (1971 – 1978).
Libro che mi riporta a quegli anni in cui la vita, sulla scia della rivoluzione culturale del ‘68, era tutto un fermento culturale, gli anni in cui si compivano i primi tentativi di liberazione dagli schemi e di osmosi tra i cittadini e le istituzioni. Gli anni dai quali emerse la legge 180, approvata nel 1978, e l’istituzione del servizio sanitario nazionale. La cosiddetta legge Basaglia che prevedeva il superamento della logica manicomiale.
Anni in cui, anche ad Arezzo, sotto l’impulso di Agostino Pirella, iniziò quel processo di trasformazione anti-istituzionale, messo in moto a Trieste da Franco Basaglia.
Quello che colpisce di questo libro, strutturato come un racconto, è che, attraverso testimonianze e documenti, l’Autrice riesce a calare il lettore nell’atmosfera di quegli anni e di quel luogo, il manicomio di Arezzo, dove Pirella realizzò un processo di de-istituzionalizzazione attraverso il contributo delle istituzioni locali, della comunità cittadina, degli operatori sanitari – medici e infermieri, del personale di servizio ma, soprattutto, degli stessi degenti. Tutto questo attivando anche assemblee collettive partecipate, durante le quali, indipendentemente dal proprio ruolo, ognuno poteva prendere la parola per esporre le proprie idee, esprimere i propri bisogni o per suggerire cambiamenti.
E questo racconto è fatto anche attraverso le voci dei protagonisti, tratte dai verbali. Voci che testimoniano un passaggio mentale che si andava determinando nelle convinzioni degli operatori sanitari – medici e infermieri, e dei degenti. Dove i malati diventavano il centro di un’istituzione che apriva i propri cancelli e le proprie sbarre per ridare loro quella dignità di esseri umani che l’istituzione manicomiale tradizionale aveva tolto, avendoli fatti diventare, come affermava John Foot, “degli scomparsi” dietro quelle mura.
Riporto due esempi, secondo me emblematici, di quanto avveniva in quei luoghi, in quelle menti e in quegli anni, e invito chi fosse interessato alla storia della psichiatria e del disagio psichico a leggere questo notevole testo che ricostruisce una miliare storia di liberazione.
La voce di un infermiere, G.:
Quando ci hanno dislocato nei territori è stato un lavoro duro, non tanto con i malati, ma con i baristi, con il capo-stazione (l’ex manicomio di Arezzo è molto vicino alla stazione ferroviaria), i vicini di casa. Lo sai quante riunioni abbiamo fatto? Quando abbiamo aperto le prime case famiglia siamo dovuti andare a parlare con i vicini, sembrava che noi portassimo lì dei mostri; siamo dovuti andare a convincerli che non era vero, che erano persone e che poi c’eravamo anche noi a seguirle, ma non è stato facile! (p.129).
La voce di un malato, Vittorio, presidente dell’Assemblea in quella fase:
L’attuale presidente in carica tiene a precisare e a segnalare la sua stima per il degente Vasco (…), che lo precedette nella carica, come degli altri che ancor prima si succedettero e si augura che colui o colei che eventualmente avesse la preferenza dei degenti, di tenere sempre presenti due fattori, che modestamente ritengo essenziali, per il benessere degli stessi ospiti del nostro Neuro Ospedale: 1° Con la propria attività cercare di curare gli interessi dei degenti comprendendone le giuste richieste; 2° Non pretendere, dall’Amministrazione Provinciale delle eccessive richieste e pretendendone, l’immediato consenso; collaborare con il Sig. Direttore, con il Corpo Medico, il personale Infermieristico, Sigg. Volontari e con i degenti stessi per una sempre più elastica comprensione e non negare mai a chi presta la propria opera a beneficio dei degenti, la fiducia, affinché l’attuale Sistema Ospedaliero continui su quella strada iniziata da poco e che se pur con alcuni difetti, ha portato anche tanto vantaggio, benessere e soprattutto la cosa più cara che madre natura ha donato agli esseri umani: LA LIBERTA!!!(p. 43).

Stefania Tucci
Psicologa, psicoterapeuta ad orientamento analitico, psicotraumatologa, divulgatrice scientifica, già cultore della materia in Teorie della Personalità c/o UNIROMA1 e responsabile nazionale della divulgazione del Maggio di Informazione Psicologica – MIP. Co-founder e membro del CTS di Psicologia in Tribunale.
Bene così. Ed il naufragar m'è dolce in tanto mar.