Lo psicologo scolastico e il diritto di accesso ai documenti relativi alla sua attività

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Lo psicologo scolastico e il diritto di accesso ai documenti relativi alla sua attività

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Lo psicologo scolastico e il diritto di accesso ai documenti relativi alla sua attività

Massimo Osler

Avvocato, tutore/curatore di minori, mediatore familiare, abilitato alla pratica collaborativa c/o l’Italian Institute Collaborative Law, IICL. Dottore in Psicologia e docente c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interattivo-Cognitiva di Padova.

Con sentenza di data 19.09.2024, il Consiglio di Stato, sez. VII, affronta i limiti dell’istituto del diritto di accesso agli atti con riferimento all’ostensibilità o meno della relazione redatta da una psicologa sugli incontri avvenuti con gli studenti di una classe liceale, nell’ambito di un progetto scolastico denominato “progetto benessere”.

La madre di una delle studentesse appartenenti alla classe aveva proposto istanza di accesso agli atti al fine di ottenere copia della predetta relazione, motivando la propria richiesta per finalità difensive, avendo ella presentato denuncia-querela per atti di bullismo nei confronti della figlia.

L’ostensione della relazione era stata negata prima dall’Istituto Scolastico e, successivamente, anche dal giudice di primo grado (TAR Toscana – Sentenza n. 103/2024), in quanto aveva ritenuto dirimente il divieto derivante dal segreto professionale invocato dalla psicologa. 

La decisione del TAR Toscana è stata impugnata dalla madre avanti al Consiglio di Stato, il quale non si è limitato a confermare il diniego di ostensione della relazione per l’opposizione del segreto da parte della psicologa, ma ha soprattutto chiarito che la funzione del segreto professionale non è meramente disponibile dalle parti. 

Infatti, dalla lettura della motivazione della sentenza, si ricava che, anche nell’ipotesi di deroga al segreto da parte degli aventi diritto, tale presupposto costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per l’accoglimento della domanda di accesso, dovendosi in ogni caso effettuare una valutazione caso per caso, al punto che il Consiglio di Stato riconosce che si tratta di soluzione complessa che, a seconda delle ipotesi, può presentare “un margine di relativa elasticità”.

La complessità deriva dal bilanciamento tra gli interessi tutelati dall’istituto dell’accesso agli atti e quelli relativi alla tutela, di rilievo costituzionale, delle attività intellettuali.

Quanto alla disciplina del diritto di accesso agli atti, la medesima è prevista dall’art. 22 della legge n. 241/1990, che stabilisce il diritto di chiunque di richiedere documenti, dati e informazioni detenuti da una Pubblica Amministrazione riguardanti attività di pubblico interesse, purché il soggetto che lo richiede abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso.

Tale istituto giuridico costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”, al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa (art. 22 comma 2, Legge 241/90). 

Sono pertanto accessibili, in linea di principio, “tutti i documenti amministrativi” (art. 22, comma 3) che siano detenuti da una pubblica amministrazione relativi ad  attività di pubblico interesse, “indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (art. 22, comma 1 lett. d), fatti salvi i limiti previsti dalla legge.

Il richiedente deve dimostrare di essere portatore di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22 comma 1 lett. b), e deve dimostrare, altresì, che l’accesso non è preordinato ad esercitare “un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24 comma 3).

Sotto tale profilo, anche con riferimento alla documentazione scolastica, la giurisprudenza amministrativa (TAR Puglia, Sez. Unite – Sentenza n. 1110/2023) ha precisato che “in via generale, i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale hanno diritto a conoscere gli atti e i documenti della carriera scolastica del figlio, che ineriscono alla funzione e alla responsabilità genitoriale stessa, per cui la richiesta non necessita di una specifica motivazione, essendo funzionale all’obiettivo educativo di prendere contezza delle eventuali carenze nell’apprendimento e nel processo cognitivo del figlio”.

Nel caso di esame, quindi, la madre della studentessa risultava legittimata ad esercitare l’istanza di accesso agli atti e documenti scolastici della figlia, in quanto soggetto qualificato all’esercizio della responsabilità genitoriale e, pertanto, dotata di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui era chiesto l’accesso, ai sensi di quanto disposto all’art. 22 comma 1 lett. b) legge n. 241/1990.

Oltre alla legittimazione dell’istante, occorre tener conto anche dei limiti stabiliti dalla legge in tema di accesso agli atti, tra i quali è indicato espressamente quello del “segreto”. L’art. 24, comma 1, lett. a) della Legge n. 241/1990 stabilisce, infatti, che il diritto di accesso è escluso nei casi di “segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge” tra cui rientra il segreto professionale dello psicologo. 

L’istituto del segreto professionale vincola lo psicologo – sia in ambito pubblico che privato – a mantenere la riservatezza sui fatti di cui lo stesso è venuto a conoscenza nell’esercizio della propria funzione.

Nel caso di specie, dunque, essendo stato invocato dalla psicologa il segreto professionale, era precluso, in radice, l’accoglimento della relativa istanza di accesso agli atti, nel rispetto della espressa norma di legge.

Essendo tuttavia previsto, fra l’altro anche dall’art. 12 del codice deontologico, che lo psicologo possa derogare al segreto professionale “in presenza di un valido e dimostrabile consenso della persona destinataria della prestazione”, occorre verificare la soluzione con riferimento all’ipotesi contraria, ovvero nel caso in cui lo psicologo deroghi al segreto e, conseguentemente, acconsenta al rilascio della copia. 

La questione, in tal caso, diventa dunque la seguente: se la presenza di tale presupposto (consenso dello psicologo e degli aventi diritto) comporti o meno una deroga che opera con riferimento all’art. 24, comma 1, lett. a) della Legge n. 241/1990 e renda, così, ostensibile la relazione e/o comunque le attività dello psicologo rese nell’ambito di un intervento scolastico.

Secondo il Consiglio di Stato tale presupposto non è sufficiente, in quanto l’attività dello psicologo ha una tutela di rilevanza costituzionale che impone di verificare, caso per caso, gli interessi che devono prevalere, non potendosi ritenere che la tutela degli stessi dipenda esclusivamente dalla volontà del professionista e dei destinatari della sua attività professionale.

È opportuno, infatti, sottolineare che il segreto professionale ha, a ben vedere, una funzione strumentale, in quanto mira a proteggere e ad assicurare la tutela del sottostante interesse pubblico al libero ricorso alle prestazioni di necessità, come quelle sanitarie o difensive, che sarebbero minacciate o compromesse in un sistema che non offrisse la garanzia del divieto di rivelazione.

Per tale ragione, le professioni che hanno ad oggetto tali prestazioni sono collegate a beni costituzionalmente rilevanti, quali, ad esempio, la salute e il diritto di cura (art. 32 Cost.) o il diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Il collegamento che esiste tra una determinata professione (ad esempio quella dello psicologo) ed il bene costituzionalmente tutelato che la medesima persegue giustifica, quindi, una regolamentazione adeguata che garantisca la protezione di quel bene.

La fiducia nella segretezza diventa, quindi, una condizione di libertà che rappresenta un presupposto essenziale per un’efficace relazione terapeutica.

Se dunque, per le ragioni anzidette, il segreto mira a tutelare anche interessi di rilevanza costituzionale, è evidente che le ipotesi di deroga al divieto di rivelazione delle informazioni devono contemperare non solo l’interesse personale dell’individuo ma anche quello della collettività: il segreto professionale non è posto solo a tutela degli assistiti, ma è previsto 

“ … anche a tutela della libertà di scienza, che, nell’esercizio dell’attività professionale, deve essere garantita ai prestatori d’opera intellettuale nel nostro ordinamento, ai sensi di quanto previsto dall’art.2239 del c.c. e, soprattutto, dal comma 1 dell’art.33 della Costituzione. È evidente, infatti, che se non si garantisse la riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni da costoro espresse nel corso dell’attività professionale, quella libertà potrebbe essere seriamente compromessa.

Quanto, poi, al caso in esame caratterizzato dal fatto che l’intervento della psicologa aveva ad oggetto non un singolo paziente, ma un’intera classe, il Consiglio di Stato sottolinea che neppure il consenso alla divulgazione da parte di tutti i componenti del gruppo avrebbe spostato i termini della questione, posto che “… giammai [i medesimi] avrebbero potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l’oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest’ultimo con l’intera comunità di riferimento, il che, in certo senso, rafforza – e dunque produce un effetto esattamente inverso – la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri e sugli esiti degli stessi”.

Di conseguenza, nel contesto di intervento psicologico su una classe intera, il segreto professionale assume una rilevanza finanche maggiore e non può essere derogato dal mero consenso dei singoli partecipanti.

In definitiva, secondo la sentenza in commento, l’ostensione della relazione dello psicologo avente ad oggetto un intervento sul gruppo classe è preclusa ex lege in origine dal divieto di cui all’art. 24, comma 1, lett. a) della Legge n. 241/1990, atteso che il documento rientra tra quelli coperti dal segreto professionale e tale garanzia permane anche in presenza del consenso alla divulgazione operato sia dal professionista che da tutti i membri del gruppo classe interessati alla prestazione.

Il consenso, infatti, deve essere bilanciato, caso per caso, con i prevalenti principi di rilevanza costituzionale che tutelano la libertà di scienza, configurandosi così come eccezionali le ipotesi di ostensibilità degli atti riguardanti l’attività dello psicologo attraverso lo strumento dell’accesso agli atti.

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