Un modello di supervisione in psicologia giuridica
09/12/2020 2022-11-17 16:21Un modello di supervisione in psicologia giuridica
Sabrina Tosi
Psicologa, psicoterapeuta. Giudice Onorario presso il Tribunale per i minorenni di Ancona
La trattazione che segue nasce da una serie di sollecitazioni ricevute da colleghi che lavorano in contesti peritali che frequentemente maturano l’esigenza di un confronto che talvolta sfocia in una richiesta di un parere informale e tal altra in una domanda di supervisione.
Si intende quindi proporre una concezione della supervisione quale creazione di uno spazio di riflessione sul sistema di codifica del CTU o Perito in relazione alle vicende peritali e non una riproduzione in un contesto stragiudiziale delle operazioni stesse.
La supervisione di cui si intende discutere è un processo che nasce dalla domanda del consulente tecnico in relazione ad un procedimento giudiziario nell’ambito del quale è stato nominato CTU o Perito, domanda rivolta ad un professionista formato in modo specifico alla tecnica della supervisione.
Contrariamente a quanto viene inteso comunemente, in questo caso l’oggetto della supervisione non è il caso giudiziario, ma la rappresentazione del consulente in relazione al caso. Quest’ultimo infatti, attraverso l’apertura di tale processo crea uno spazio di riflessione sul proprio sistema di codifica della vicenda giudiziaria per detergerlo quanto più possibile da proprie risonanze interne.
Sebbene infatti il Perito giuri di fronte al rappresentante dell’Autorità Giudiziaria designato nel procedimento nell’ambito del quale ha ricevuto l’incarico, “di bene e fedelmente adempiere al suo dovere per far conoscere al giudice la verità” egli sa anche che tale verità è strettamente legata al proprio sistema percettivo, cognitivo ed emozionale. In caso contrario sarebbe inspiegabile come, di fronte alla stessa vicenda giudiziaria, tre professionisti ben preparati, il CTU e i rispettivi CCTTPP, possano sostenere verità diverse in relazione alle stesse informazioni emerse, esclusi ovviamente i casi di malafede.
L’epistemologia della complessità (Morin, 1993; Bocchi, Ceruti,1985) spiega tale fenomeno sostenendo che la realtà è un intreccio di variabili collegate tra di loro impossibili da osservare nella loro interezza; l’osservatore deve essere consapevole che le variabili che osserva sono contenute in una cornice che egli stesso ha costruito ma che non le comprende tutte.
Il criterio di scelta delle variabili, ma soprattutto il peso che diamo a ciascuna di esse è legato sia alla realtà del sistema osservato quanto alla realtà dell’osservatore. È in questa prospettiva, definita la “teoria dei sistemi che osservano o cibernetica di secondo ordine” attribuita al matematico Heinz Von Foerster, che si sviluppa una concezione della supervisione che comprende l’osservatore (il consulente) e il sistema osservato (i periziati).
In aggiunta a ciò la caratteristica processuale delle operazioni peritali, in cui i momenti di incontro tra i periziati e il Perito non possono essere osservati e descritti in forma statica, come se fosse una fotografia in quanto tale pretesa è contraria alla logica processuale che contraddistingue le relazioni umane (Bianciardi, 2017). Al di là della pretesa di oggettività a cui tende il consulente, egli deve quindi considerare e accettare che il processo in atto a cui l’osservatore si accosta potrebbe cambiare il processo stesso. Questo pone il Perito di fronte alla questione della responsabilità, aspetto di cui si parlerà più avanti.
Una modalità molto efficace di lavorare in questa prospettiva è la supervisione in gruppo. Diversi esperti dell’ambito peritale, dando una propria lettura della situazione, non necessariamente omogenea, creano uno spazio più ampio di variabilità in cui le differenze significative possono essere indicatori che si sono attivate delle risonanze personali che interferiscono nel sistema di codifica della situazione. Possono emergere ad esempio tendenze personali ad empatizzare per le figure paterne, risonanze rispetto a problematiche di gioco d’azzardo o di abuso di sostanze che possono oscurare risorse genitoriali sufficienti a garantire la crescita dei minori.
In sintesi, nella prospettiva delineata, la creazione di uno spazio di supervisione è legata all’etica e quindi alla responsabilità nella scelta dei percorsi, dei metodi, degli strumenti psicometrici, del linguaggio da utilizzare sia con i periziati, che con l’autorità giudiziaria. E tali elementi non vengono stabiliti nella supervisione ma vengono ipotizzati e ripensati nella relazione con il supervisionato.
Lo spazio della supervisione tuttavia è contraddistinto da una trama di vincoli e possibilità a cui il consulente deve mantenersi aderente e in cui il supervisore, ma più ancora il gruppo, interviene per portare alla luce eventuali scollamenti dettati dalle proprie risonanze. I vincoli e le possibilità sono rintracciabili negli articoli del Codice di Procedura Civile e Penale che disciplinano la Consulenza Tecnica d’ufficio e la Perizia, nel Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, nelle Linee Guida dello Psicologo Forense, e nelle tante Linee Guida e Buone Prassi esistenti.
È con altrettanta attenzione e responsabilità che il supervisore crea uno spazio di riflessione sul proprio ruolo delicato non perché entri senza nomina nel procedimento, di cui per altro solitamente non conosce informazioni personali, il numero del procedimento ecc., ma responsabilità nel considerare che gli elementi portati in supervisione sono stati codificati e processati e quindi, di conseguenza, non hanno la pretesa di oggettività.
In questo senso risulta particolarmente rischiosa la pratica diffusa di chiedere “consigli”, e quindi elargire pareri su informazioni approssimative e riduttive, come avviene frequentemente nei social, nelle community o nei gruppi, o in una breve comunicazione telefonica, il cui il sistema di codifica di chi chiede il parere, seleziona solo un campo ristretto di elementi rispetto all’intreccio complesso sopra delineato.
Altra questione è invece la creazione di uno spazio di decompressione che avviene quando tra colleghi si condividono narrazioni di esperienze di consulenza per scaricare la tensione che caratterizza il lavoro in un territorio di frontiera, quello della psicologia giuridica, in cui il clinico, spesso deve integrare principi tra due territori, quelli del diritto e della giurisprudenza da un lato e quelli della psicologia dall’altro, caratterizzati da ecosistemi mentali, normativi e affettivi molto diversi.
In sintesi, la supervisione è un processo auspicabile non economico, se consideriamo l’investimento di tempo e soldi necessario, ma economico dal punto di vista dell’economia mentale, se pensiamo ad esempio allo stress lavoro-correlato molto intenso in questo settore della psicologia dove, peraltro, si rileva il numero maggiore di segnalazioni su presunte scorrettezze nell’esercizio della professione alla Commissione Deontologica degli Ordini territoriali con conseguenti provvedimenti disciplinari, e ancor più redditizio dal punto di vista della solidità professionale.
Bibliografia
Bianciardi M. (2017), “La psicoterapia come arte/scienza della gestione dei problemi complessi”, in Psicobiettivo, Vol.XXXVII, 1, Franco Angeli
Bocchi G., Ceruti M., (1985) La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli (prima edizione); Milano, Mondadori, 2007 (nuova edizione)
Foerster H.V. (1987), Sistemi che osservano, Roma, Astrolabio
Morin E. (1993), Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer
esposizione chiara e completa