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La violenza di genere non si consuma in un istante. Come riconoscerla?
05/12/2024 2024-12-05 20:05La violenza di genere non si consuma in un istante. Come riconoscerla?

La violenza di genere non si consuma in un istante. Come riconoscerla?
Il Servizio Analisi Criminale del Ministero dell’Interno ha registrato fino al 17 Novembre 2024, 269 omicidi di cui 98 erano donne. Nello specifico 84 sono morte in ambito familiare e affettivo e 51 di queste 84 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex-partner. Si parla di un incremento del +15,91% rappresentato da queste 7 nuove vittime nell’arco di poco più di trenta giorni.
Rispetto al 2023 il dato è leggermente rincuorante, in quanto se ne contarono 103, ma con il recente aumento delle richieste d’aiuto al numero 1522 antiviolenza e antistalking, circa un +57% solo nei primi 9 mesi del 2024, è evidente che la questione è ancora ben lontana dal considerarsi risolta. A chiamare sono principalmente donne vittime sia di mariti e compagni che degli ex che non hanno accettato la fine della relazione. Sono prevalentemente italiane, ma anche le donne di origine straniera stanno iniziando ad utilizzare sempre più spesso questo servizio.
Sicuramente, l’entrata in vigore del Codice Rosso Rafforzato – 30 settembre 2023 – ha permesso di introdurre misure più stringenti come l’obbligo di ascolto delle vittime entro tre giorni e l’uso del braccialetto elettronico per controllare il divieto di avvicinamento, misure che, se non del tutto risolutive e migliorabili, possono fornire un aiuto non da poco.
La violenza di genere non è un episodio isolato, né in verità ha come vittima prescelta esclusivamente la donna, ma è l’espressione di dinamiche sociali e culturali che spesso non siamo in grado di percepire e riconoscere perché ci viviamo immersi.
La punta dell’iceberg, come ben sappiamo, è la messa in atto di comportamenti violenti allo scopo di annientare un altro essere umano, nei casi più gravi togliendogli la vita. Nel caso delle donne la giurisprudenza definisce femminicidio l’uccisione di una donna per motivi legati al suo genere, dovuto ad espressione di potere o controllo su di lei, perpetrata da partner o familiari. Reato che sii distingue dagli omicidi per contesto sociale e culturale dovuto a disuguaglianza di genere e dinamiche patriarcali.
Ma quali sono le origini e le radici del patriarcato?
Anzitutto, non è concetto così recente come i simpatizzanti di movimenti incel, redpill e blackpill o semplici negazionisti credono. Questo termine risulta esistente già in scritti del 1450 e venne utilizzato da Sir Robert Filmer nel 1600 per descrivere la sua idea di governo di stampo patriarcale, nel quale rappresentava lo Stato come una famiglia ed il re come il padre a cui asservirsi. Tale concetto ha assunto varie accezioni sulla base della cultura di riferimento nel corso dei secoli ed infine è stato sviluppato in modo significativo dal movimento femminista attorno al 1900 nell’accezione che conosciamo oggi:
Con patriarcato si intende il sistema socio-culturale nel quale siamo immersi che, per questioni evolutive e storiche, ha una polarizzazione del potere detenuto dagli uomini sia all’interno delle dinamiche sociali che nelle istituzioni politiche, economiche e sociali. Tale sistema è basato su di una gerarchia che assegna ruoli e privilegi diversi a uomini e donne, con una tendenza a mantenere in un ruolo subordinato queste ultime.
Sebbene, in Italia, con la legge del 19 maggio 1975 per la riforma del Diritto della Famiglia, si è dato uno stop giuridico alla società patriarcale con l’annullamento della subordinazione della moglie al marito, la comunione dei beni ed il passaggio dalla potestà patriarcale sui figli a quella genitoriale e quindi di entrambi i genitori, ancora oggi culturalmente il patriarcato continua ad influenzare il tessuto sociale.
L’Assemblea delle Nazioni Unite definisce la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichi nella sfera pubblica che in quella privata”.
La scelta di parlare delle dinamiche uomo-donna è dovuta ai numeri e – soprattutto – alla natura sbilanciata di questo tipo di rapporti dovuto alla struttura della nostra società e ai costrutti sociali legati al genere, cioè la stereotipizzazione e l’attribuzione di ruoli ed aspettative diverse a seconda se si sia un uomo o una donna, grazie a convenzioni sociali che ci accompagnano fin dalla nascita.
Gli stereotipi di genere alla base della nostra cultura e che permettono la perpetrazione di atti irrispettosi e/o violenti verso la persona vengono appresi a partire dalla nostra infanzia. Già il solo “ma lo ha fatto perché gli piaci” che spesso le bambine si sentono dire in risposta ad atti violenti, come spintoni o gonne alzate, è una distorsione della realtà che va ad instillare in menti giovani un errato modo di interpretare una realtà che ha tutto un altro sapore.
L’accento è posto non sull’atto compiuto, che andrebbe regolato, ma sulla rimodulazione della percezione di chi lo subisce. Una distorsione che in età giovanile ed adulta si può tradurre nella difficoltà a lasciare un uomo violento perché le sue azioni vengono confuse con una manifestazione di amore.
Per un vero cambiamento è necessario includere gli uomini in questo percorso
Fino ad oggi, l’enfasi è sempre stata posta sul fornire alle donne gli strumenti per proteggersi, spesso anche finendo con lo scadere in una vittimizzazione secondaria, giudicando l’abbigliamento che avevano al momento di una violenza o se avessero fatto uso di alcol o droghe. Ma questa non è la strategia corretta, dato che ad oggi è ancora piuttosto comune la convinzione che sia il comportamento o l’abbigliamento di una donna a farle “meritare” una violenza, facendo pesare tutto sulle spalle della vittima un controllo sulla realtà e sulle persone che non è possibile.
Diventa quindi cruciale che gli uomini vengano inclusi in questo percorso: insegnando ai propri figli a non essere violenti, smantellando le convinzioni e gli stereotipi che limitano la capacità di percepire ed esprimere emozioni, viste come qualcosa di non mascolino, che ad oggi danneggiano gli uomini stessi ed alimentano l’incapacità di gestire la frustrazione emotiva che può sfociare in atteggiamenti aggressivi.
Movimenti misogini, come i redpill o i blackpill, che su internet e nella realtà offline stanno aumentando i loro proseliti, sfruttano proprio questa insoddisfazione percepita, rafforzando l’idea che le donne siano le responsabili di queste ingiustizie e privazioni (principalmente di natura sessuale), subita dagli uomini. Simili credenze sono amplificate da figure come Andrew Tate che diffondono modelli tossici di mascolinità e che non perdono followers nemmeno innanzi a capi d’accusa come tratta di esseri umani, stupro e formazione di un’organizzazione criminale.
La responsabilità di questo cambiamento culturale deve essere collettiva
Violenza sessuale e femminicidio, così come gli altri reati sentinella quali maltrattamenti, stalking, lesioni, violenza privata e revenge porn sono atti “overt”, palesi. Sono le azioni finali di una escalation di violenza e discriminazione che, spesso, vengono perpetrate per anni senza che nessuno se ne accorga. Nascono da comportamenti sottili che bisogna allenarsi a saper osservare e individuare, come la delega sistematica di ruoli tradizionali ad un genere ed all’altro o la mancata educazione emotiva dei maschi.
È per questo che la violenza di genere richiede un impegno collettivo. La prevenzione deve partire dall’educazione con programmi di psicoeducazione nelle scuole, formazione per gli educatori e per i professionisti delle forze dell’ordine e della sanità che rispondono all’emergenza, così come, parallelamente, da interventi mirati in contesti familiari e lavorativi.
Il monitoraggio costante e la creazione di una valida rete di supporto per la vittima, ma anche per l’autore della violenza che necessita una rieducazione ed una rivalutazione del suo sistema di valori e credenze, sono elementi imprescindibili per creare una società più equa, dove rispetto e parità di genere siano valori condivisi, non eccezioni.
Sitografia
https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2024-11/report_settimanale_al_17_novembre_2024.pdf
Naomi Ellemers, Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Utrecht, Stereotipi di genere: https://doi.org/10.1146/annurev-psych-122216-011719
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Commento (1)
Giuseppe Corsi
Non so dove scrivere, a contrario mi attacco qui. Potrei produrre giurisprudenza per cui il movente della gelosia n9n costituisce aggravante di futile motivo. Cosa replicate con le leges artis della psicologia?