Il freezing: quando la paura paralizza e la giurisprudenza ascolta

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Il freezing: quando la paura paralizza e la giurisprudenza ascolta

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Il freezing: quando la paura paralizza e la giurisprudenza ascolta

In situazioni di pericolo improvviso, il corpo può reagire in modo del tutto controintuitivo: non fuggendo né combattendo, ma restando immobile. Questo stato di blocco, noto con il temine inglese freezing, è una reazione automatica e arcaica del sistema nervoso, che può manifestarsi con sintomi fisiologici e cognitivi di paralisi temporanea. Una reazione che, tuttavia, può avere implicazioni rilevanti anche in sede giuridica, come ha recentemente riconosciuto una pronuncia della Corte di Cassazione.

Che cos’è il freezing

Il freezing è una risposta automatica del sistema difensivo del nostro organismo, attivata da un’intensa percezione di minaccia. A differenza delle più note reazioni di fight or flight (lotta o fuga), il freezing consiste in una paralisi transitoria, un blocco che può durare pochi secondi o anche diversi minuti. Chi ne è colpito può apparire assente, incapace di muoversi o parlare, con una ridotta capacità di elaborare l’evento in tempo reale.

Dal punto di vista psicologico, si tratta spesso di una forma di dissociazione che può coinvolgere sia la percezione di sé – depersonalizzazione ovvero una sensazione di distacco dal proprio corpo, dai propri pensieri o dalle proprie emozioni, come se la persona in quel momento osservasse la propria vita dall’esterno; sia la realtà esterna – derealizzazione ovvero una condizione psicologica in cui la percezione della realtà è alterata, apparendo irreale, strana o distante. In sostanza, una vittima di violenza sperimenta, come quasi sempre si osserva a livello clinico, una sorta di scollamento tra la realtà e la propria capacità di reagire.

A livello fisico, invece, si possono osservare sintomi come immobilità, alterazioni del respiro, rallentamento del battito cardiaco, aumento della sensibilità uditiva o visiva e irrigidimento muscolare.

Il freezing, differentemente da ciò che si può credere, non è un segnale di debolezza, ma una risposta primitiva di sopravvivenza, oggi sempre più riconosciuta anche nei contesti clinici e forensi.

Il freezing nel diritto penale: il caso che fa scuola

Il fenomeno del freezing ha assunto nuova centralità nel dibattito giuridico grazie a una recente sentenza della Corte di Cassazione – Sez. III Penale – n. 22297 del 13 giugno 2025. Il caso riguardava una presunta violenza sessuale avvenuta all’interno di un ufficio sindacale: la vittima, una lavoratrice in cerca di consulenza, aveva riferito di aver subito atti sessuali non consensuali (baci, palpeggiamenti e contatto con le parti intime) senza riuscire a reagire nell’immediato.

Nei precedenti gradi di giudizio, l’imputato era stato assolto sulla base della presunta brevità dell’episodio (20-30 secondi) e dell’assenza di reazione fisica da parte della donna. I giudici avevano ritenuto che la mancata opposizione escludesse la violenza o la minaccia.

La Cassazione ha ribaltato questo orientamento, chiarendo alcuni punti fondamentali:

  • La durata del contatto non è rilevante ai fini della configurazione del reato di violenza sessuale: anche un gesto improvviso o breve può compromettere la libertà sessuale.

  • La mancata reazione della vittima non può essere interpretata come consenso, in particolare se è plausibile la presenza di un blocco psicofisico come il freezing.

  • L’onere della prova sul consenso grava sull’imputato, che deve dimostrare che il contesto autorizzava a ritenere il dissenso assente o inverosimile.

Secondo la Corte, è necessario un approccio valutativo globale e contestuale che tenga conto non solo del gesto in sé, ma dell’interazione, del contesto relazionale e del vissuto psicologico della persona offesa.

Una svolta interpretativa significativa

Con questa sentenza, la Suprema Corte rafforza l’orientamento giurisprudenziale che riconosce le dimensioni psicologiche della vittimizzazione. La reazione della vittima, o la sua apparente assenza, non deve più essere letta con i parametri dell’immediatezza o della forza fisica, ma alla luce delle moderne conoscenze neuroscientifiche e psicotraumatologiche.

Il freezing diventa così una chiave di lettura legittima per comprendere comportamenti che, altrimenti, potrebbero apparire ambigui o poco credibili: l’assenza di urla, la mancata fuga, l’inerzia temporanea non sono segni di consenso, ma possibili segnali di vissuti traumatici.

Una nuova sensibilità culturale e giuridica

Il rilievo mediatico suscitato dalla decisione è legato non solo alla delicatezza del contesto lavorativo in cui si è svolta la vicenda, ma anche all’evoluzione del concetto di consenso, che non può più essere ridotto alla semplice assenza di rifiuto. In un’epoca in cui cresce l’attenzione alla violenza di genere e alle sue manifestazioni più sottili, questa sentenza rappresenta un passo importante nella direzione di una giustizia più attenta alla complessità delle reazioni umane di fronte a un trauma.

Il freezing, da fenomeno neurobiologico ancora poco compreso, diventa così anche un criterio giuridico di valutazione, e l’assenza di una reazione immediata smette di essere un ostacolo alla tutela della libertà sessuale.


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