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Sono molto interessata ai temi di questo convegno - vista l'attualità degli argomenti che saranno trattati
Interessata alla partecipazione di qs evento sui minori sospesi tra reale e virtuale. Grazie .
spero di poter seguire tutto il giorno.
Molto interessante, lo seguirò con piacere.
Victim Blaming: quando la vittima diventa imputata
05/06/2025 2025-07-03 15:39Victim Blaming: quando la vittima diventa imputata
Victim Blaming: quando la vittima diventa imputata
Nel lavoro dello psicologo giuridico, soprattutto nei contesti penali e civili che coinvolgono vittime di violenza, abusi o reati sessuali, capita spesso di imbattersi in un fenomeno tanto diffuso quanto insidioso: il victim blaming, ovvero la tendenza, più o meno consapevole, ad attribuire alla vittima una parte di responsabilità per quanto le è accaduto.
Si tratta di un meccanismo psicologico e sociale che affonda le sue radici in diverse dimensioni: dal bisogno di credere in un mondo giusto (“se le è successo, qualcosa avrà fatto”) alla difesa dal senso di vulnerabilità (“a me non succederebbe, io non mi sarei comportata così”), fino ad arrivare a veri e propri stereotipi di genere e pregiudizi culturali profondamente radicati.
Nel contesto della violenza sessuale, questo atteggiamento si manifesta attraverso:
Domande insinuanti poste alla vittima:
“Che vestiti indossava?”
“Aveva bevuto?”
“Perché è andata in quel posto da sola?”
Giudizi morali sulla vita privata della vittima:
La sua sessualità, le relazioni pregresse, l’eventuale promiscuità vengono usati come elementi per minarne la credibilità.
Sottintesi culturali: l’idea che una donna possa “provocare” l’aggressore o che “se davvero fosse stata una violenza, avrebbe resistito di più” sono esempi concreti di stereotipi che alimentano la cultura dello stupro.
Nel linguaggio comune e nei tribunali
Il victim blaming non si manifesta solo in forme palesi, come l’accusa diretta alla vittima (“se non fosse andata vestita così…”) ma anche in modalità più sottili, insinuanti, a volte perfino mascherate da razionalità. Frasi come “perché non ha denunciato subito?”, “perché è tornata a casa con lui?” o “perché ci è rimasta per anni?” sono esempi tipici di una narrazione che sposta il focus dal comportamento dell’aggressore a quello della vittima.
Nei contesti giudiziari, questo atteggiamento può avere conseguenze gravissime: influenzare la credibilità della vittima, distorcere l’interpretazione dei fatti, alterare la valutazione del danno subito. In alcuni casi, può perfino portare a decisioni che negano la tutela o la giustizia a chi ha subito violenza.
Il ruolo dello psicologo giuridico
Compito dello psicologo giuridico è, tra gli altri, quello di contribuire a fare chiarezza nelle dinamiche relazionali, emotive e cognitive che caratterizzano i casi di vittimizzazione secondaria. Questo significa anche riconoscere e decostruire il victim blaming ogni volta che si presenta, sia nel linguaggio degli operatori, sia nei documenti, sia nei colloqui con le parti.
L’esperto deve essere in grado di spiegare – anche in sede di perizia o consulenza tecnica – che la risposta traumatica può includere comportamenti contraddittori o apparentemente “non credibili” (immobilismo, ambivalenza, regressione, ritiro della denuncia, etc.), ma che sono coerenti con una condizione psicologica alterata dalla paura, dalla vergogna, dalla dipendenza affettiva o economica, o dalla rielaborazione difensiva dell’accaduto.
Il contesto culturale e istituzionale
Il victim blaming non è solo un problema individuale, ma anche sistemico. Può manifestarsi attraverso domande tendenziose in aula, prassi investigative orientate al sospetto verso la vittima, articoli di stampa che insinuano dubbi, o perfino attraverso sentenze che assolvono per “assenza di resistenza attiva”.
Anche in contesti civili, come quelli della valutazione dell’idoneità genitoriale, il rischio è quello di stigmatizzare le donne vittime di violenza come “madri deboli”, “confusionarie”, o “collusive”, alimentando una spirale secondaria di colpevolizzazione che può danneggiare sia loro che i figli.
Collegamento con la “rape culture”
Il victim blaming , come abbiamo visto, non è un fenomeno isolato, ma parte integrante della rape culture, un contesto culturale in cui:
Le aggressioni sessuali vengono minimizzate o normalizzate;
I colpevoli vengono spesso giustificati;
Le vittime sono screditate o ridicolizzate;
L’attenzione viene spostata dal reato alla condotta della vittima.
Costruire una cultura della responsabilità (non della colpa)
Contrastare il victim blaming significa anche promuovere una cultura della responsabilità, in cui il focus venga riportato sul comportamento di chi agisce il danno e non su chi lo subisce.
Questo non implica l’idealizzazione della vittima, ma il riconoscimento che la vulnerabilità non è una colpa e che ogni individuo ha diritto a protezione, comprensione e giustizia, indipendentemente dalle sue scelte, dalla sua storia o dal contesto in cui vive.
Come professionisti della psicologia giuridica, abbiamo il dovere etico e scientifico di vigilare su queste dinamiche, sensibilizzare i contesti in cui operiamo e contribuire alla costruzione di interventi e percorsi di tutela che non replichino la violenza, anche solo in forma simbolica o narrativa.
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