Il transessualismo configura una profonda sofferenza identitaria: il sesso biologico e l’identità di genere della persona transessuale, infatti, non coincidono. Questa condizione comporta una grande sofferenza psicologica e un immenso disagio esistenziale e personale legati al non sentirsi rappresentati dalla propria identità di genere e dal proprio corpo.
Per questo motivo, la legge 164 del 1982 riconosce che il transessuale, quando pone la questione della propria identità, non è spinto da libera scelta, ma obbedisce ad un’esigenza incoercibile, e gli fornisce così la possibilità di modificare il proprio sesso anagrafico sulla scorta della propria identità di genere.
Due sono le fasi previste per la procedura di rettificazione che fanno seguito al ricorso dell’interessato in Tribunale:
- l’accertamento del suo diritto ad ottenere l’attribuzione di un sesso diverso e la conseguente autorizzazione, attraverso opportuna sentenza, a sottoporsi al trattamento chirurgico;
- l’accertamento che sia intervenuta la modificazione autorizzata dal Tribunale.
Di recente, alcune sentenze, privilegiando il diritto alla salute e la capacità delle persone di vivere in modo equilibrato la propria identità di genere, hanno autorizzato la rettifica dei dati anagrafici senza la necessità che la persona interessata si sottoponga ad intervento chirurgico.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti stabilito, l’11 giugno del 2002, che, l’impossibilità per una persona trans di cambiare sesso sul proprio certificato di nascita, sia una violazione dei suoi diritti, ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. A seguito di questa pronuncia, il Parlamento del Regno Unito, nel 2004, ha promulgato il Gender Recogniction Act che consente a chi ne fa richiesta di rettificare i propri dati anagrafici, indipendentemente dall’effettuazione dell’intervento.
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