Sara Riposo
corsista del corso di alta formazione Ruolo e Funzioni del Consulente Tecnico Psicologo in Ambito Minorile
Il Cismai (2017) definisce la violenza assistita intrafamiliare come “l’esperire da parte della/del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica e atti persecutori (c.d. stalking) su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni […] Il/la bambino/a o l’adolescente può farne esperienza direttamente (quando la violenza/omicidio avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il/la minorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio), e/o percependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici. La violenza assistita include l’assistere a violenze di minorenni su altri minorenni e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni degli animali domestici e da allevamento”.
Una delle ultime indagini pubblicate da Terres des Hommes e Cismai per conto dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza mostra come 1 minore su 3, fra quelli seguiti per maltrattamento, è vittima testimone di violenza assistita intrafamiliare, perpetrata soprattutto ai danni della madre. Dopo la patologia delle cure, la violenza assistita rappresenta così la seconda forma di maltrattamento più diffusa ai danni del minore.
Nella maggior parte dei casi la violenza a cui assiste il minore è perpetrata dal proprio padre o dal compagno della madre ai danni della stessa. Un caso drammatico di violenza assistita è quello subito dai minori che diventano orfani di femminicidio, i quali subiscono l’omicidio della madre, spesso ad opera dal padre, perdendo dunque entrambe le figure genitoriali. In molti casi questi minori si ritrovano ad affrontare dopo la morte del genitore la perdita dell’ambiente familiare e delle abitudini di vita, spesso costretti ad abbandonare la propria abitazione e il proprio contesto di vita.
In tutti i casi di violenza assistita, il minore, intrappolato in un ambiente familiare violento, può nel tempo manifestare delle difficoltà sul piano psicologico, fisico e socio-relazionale, soprattutto nei casi in cui la madre perde il ruolo funzionale di fattore protettivo. Come evidenziano Mastronardi et al. (2018) la letteratura scientifica in tema di violenza assistita è concorde nel riconoscere che partecipare come spettatori alla violenza in famiglia comporta una forte connotazione emotiva negativa, che è assimilabile alle conseguenze di chi ha vissuto “direttamente” maltrattamenti e abusi. Ne consegue dunque che “vittima” della violenza di genere non è soltanto chi subisce direttamente la violenza psichica e psicologica da parte del partner, ma anche chi ne è coinvolto come spettatore e testimone, come accade a molti dei figli delle donne maltrattate dai propri partner.
Codice Rosso: cosa è cambiato dal 2019 in termini di violenza assistita
Il cosiddetto Codice Rosso, Legge 19 luglio 2019 n. 69, recante “modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” ha inteso consentire una migliore tutela penale delle vittime di violenza domestica e di genere. Si parla di Codice Rosso poiché prevede che denunce e indagini riguardanti i casi di violenza contro donne e minori siano gestiti con urgenza e dunque in tempi brevi e celeri, in considerazione dell’allarme sociale e della tragicità degli esiti di tali forme di violenza. Proceduralmente la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, provvede a riferire immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale.
Il Codice Rosso riporta come circostanza aggravante ad effetto speciale (con aumento di pena fino alla metà) il caso in cui “il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n.104, ovvero se il fatto è commesso con armi”.
Viene altresì introdotto un nuovo ultimo comma nell’articolo citato, dove testualmente il legislatore dispone che “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”. Il minore viene dunque considerato come persona offesa dal reato, seppur “non direttamente” vittima dei maltrattamenti e delle violenze agite. Nelle forme di violenza punite non rientrano solo i maltrattamenti fisici, ma altresì quelli psicologici, difatti la donna è spesso vittima di insulti, offese e vessazioni.
Il Codice Rosso assume estrema importanza nella tutela delle donne e dei minori vittime di violenza, tenuto conto che, come riportato anche dalle statistiche Istat, il 69% delle donne, che nel periodo 2013-2019 si sono rivolte al numero nazionale antiviolenza e stalking 1522, dichiarano la presenza di figli, nella maggior parte dei casi minori. Le statistiche ottenute riportano altresì un dato allarmante, ovvero che più della metà(62%) delle donne che si rivolgono al numero nazionale 1522 riferiscono che i figli hanno assistito alla violenza e nel 18% dei casi dichiarano che è stata da loro direttamente subita. Altro dato degno di nota è il seguente: il database delle telefonate effettuate nel suddetto periodo al 1522 permette di osservare che quasi un migliaio di segnalazioni telefoniche di violenza di genere sono state effettuate da parte dei figli delle vittime dirette, dunque probabilmente presenti e costretti ad agire in difesa delle proprie madri.
Quali sono le conseguenze della violenza assistita?
Le conseguenze generate da questo tipo di maltrattamento possono manifestarsi a livello fisico, emotivo, cognitivo e socio-relazionale, compromettendo lo sviluppo psicofisico individuale del minore e i suoi rapporti interpersonali. Inoltre, come cita anche Vanna Iori nel documento pubblicato dal Cismai (2017), la violenza subita dalle donne da parte dei partner può inficiare la loro funzione genitoriale, così una madre che subisce maltrattamenti, spesso guidata dall’esigenza di auto-proteggersi, non riesce ad ascoltare e soddisfare pienamente i bisogni dei figli. Tutto questo influenza e compromette la relazione madre-figlio, tanto da poter generare conseguenze psicologiche dannose a breve, medio e lungo termine.
Aver subito o assistito ad atti di violenza può comportare dei cambiamenti nell’equilibrio psichico e fisico dei figli. Citando di nuovo le statistiche Istat del 2019, nel periodo considerato compreso tra Gennaio 2013 e Settembre 2019, i dati riportano che in circa la metà dei casi c’è stato un aumento di sintomatologia internalizzante ed esternalizzante, ed una crescita osservata dei cosiddetti comportamenti “adultizzati” di accudimento e protezione. Un’altra delle conseguenze frequentemente osservata a lungo termine riguarda la reiterazione dei comportamenti violenti osservati durante l’infanzia nelle relazioni intime vissute in età adulta.
Save the Children (2021) descrive le conseguenze della violenza domestica su bambini e adolescenti sulle diverse aree dello sviluppo dei minori:
– sviluppo fisico: il bambino sottoposto a forte stress e violenza psicologica può manifestare deficit nella crescita ponderale e ritardi nello sviluppo psicomotorio;
– sviluppo cognitivo: l’esposizione alla violenza può impattare sullo sviluppo neurocognitivo ed intellettivo dei minori, potrebbero essere presenti anche difficoltà di attenzione e concentrazione;
– aspetti comportamentali e sviluppo emotivo: trovarsi all’interno di contesti violenti fa sì che il bambino sviluppi paura costante, ansia, senso di impotenza e incapacità di reagire. D’altro canto potrebbe succedere anche che il bambino pensi che la violenza sia l’unica strada possibile da seguire e dunque può tendere a ripetere i comportamenti violenti;
– capacità relazionali: compromessa è la capacità di intraprendere e mantenere relazioni significative, già a partire dalla relazione madre-bambino, a causa della mancanza di fiducia nell’altro, derivante da schemi comportamentali di abuso e deprivazione affettiva.
È importante osservare come i danni sul minore della violenza di genere possono essere visibili anche quando il minore è ancora in grembo materno. Salerno (2015), attraverso una review realizzata sull’Intimate Partner Violence, osserva come la gravidanza è uno dei periodi più ad alto rischio per la donna che subisce violenza da parte del partner maltrattante. In questi casi il feto può essere direttamente oggetto delle condotte violente o subirne accidentalmente gli effetti (aborto spontaneo, ritardo nell’assistenza preparto, lesioni fetali, basso peso alla nascita). Inoltre donne che subiscono violenza durante lo stato gravidico potrebbero avere più difficoltà rispetto alle donne che non subiscono violenza, sviluppando rappresentazioni negative del bambino e dunque un fragile e compromesso legame di attaccamento.
Quando è possibile parlare di pregiudizio per il minore?
Il concetto di pregiudizio fa riferimento alle “conseguenze empiriche negative per il figlio prodotte dal – cattivo – esercizio della potestà da parte dei genitori e non necessariamente alla lesione di un diritto della persona giuridicamente accertabile”. La condizione di pregiudizio del minore può determinare un danno psichico, che va accertato sul piano clinico e psicosociale per poter essere risarcibile in sede giudiziaria(Camerini et al, 2011). Parliamo di danno psichico riferendoci a una condizione di “infermità mentale, una condizione patologica di sovvertimento della struttura psichica nei rapporti tra rappresentazione ed esperienza, ricordi e vita vissuta, emozioni e concetti che le esprimono”. Le Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno alla persona redatte dall’Ordine degli Psicologi del Lazio affermano che “la menomazione psichica consiste, quindi, nella riduzione di una o più funzioni della psiche. In modo estremamente schematico si può dire che il danno psichico si manifesta in una alterazione della integrità psichica, ovvero una modificazione qualitativa e quantitativa delle componenti primarie psichiche, come le funzioni mentali primarie, l’affettività, i meccanismi difensivi, il tono dell’umore, le pulsioni”. Al fine di valutare correttamente la presenza di danno psichico è necessaria la figura di un professionista formato in psicologia forense che riesca a far luce sulla sintomatologia presentata dal soggetto esaminato, inquadrandola nelle fasi antecedenti e successive all’evento traumatico subito.
Ultimi aggiornamenti in tema di violenza sulle donne
La Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e la Violenza di Genere ha approvato in questo Aprile 2022 all’unanimità la relazione su “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”. Tale relazione è il risultato dell’esame di oltre 1500 fascicoli processuali di separazione con affido dei minori. La relazione approfondisce il tema della vittimizzazione secondaria che può essere subita dalle donne e dai minori anche nel corso dei procedimenti di separazione.
Per fare in modo che questo non avvenga occorre, secondo quanto sottolineato anche nella succitata Relazione e dalla on. Valente, una maggiore formazione da parte di tutti gli operatori interessati al fine di meglio riconoscere la violenza domestica e un approfondimento delle relazioni tra cause di separazione e cause penali per violenza domestica. Tutti gli attori istituzionali coinvolti dovrebbero dunque specializzarsi e formarsi sugli indici di identificazione della violenza domestica e sulla normativa nazionale e sovranazionale sul tema.
Riconoscere la violenza assistita è fondamentale per un corretto trattamento della vittima e del maltrattante: l’esame dei fascicoli processuali fa emergere come spesso anche i difensori della vittima tendono a descrivere le condotte violente del coniuge come manifestazioni del conflitto tra coniugi, minimizzando dunque l’impatto e le conseguenze psicofisiche che la violenza ha sulla vittima e sui minori che indirettamente assistono a tale violenza. Nella relazione viene evidenziato infatti che “quando sono presenti stereotipi molto radicati la violenza contro le donne non viene riconosciuta”, per questo e altri motivi ancora oggi molte donne fanno fatica a denunciare i partner violenti, spesso padri dei propri figli.
Il problema culturale e sociale quindi in molti casi ostacola l’individuazione del fenomeno della violenza di genere e della violenza assistita come forma di maltrattamento e conseguentemente non permette né di valutare correttamente la gravità del pregiudizio che grava sui minori, né di programmare efficaci interventi per ridurre il rischio delle conseguenze psicofisiche a breve, medio e lungo termine.
Concludendo è possibile individuare un punto cruciale sul quale puntare in concerto come professionisti coinvolti nelle questioni di violenza di genere e violenza assistita, ovvero una corretta e approfondita formazione sul tema, la quale trasversalmente permetterebbe una migliore prevenzione del fenomeno, consentendo di cogliere i primi segnali di violenza ed evitando così che questa possa amplificarsi e concretizzarsi in tragici esiti per le donne e per i minori direttamente e indirettamente coinvolti.
Considerando inoltre le implicazioni della violenza a livello psicologico sarebbe opportuno prevedere interventi di prevenzione e trattamento che tengano in considerazione tutti i soggetti coinvolti nella violenza di genere: chi la agisce, chi la subisce e chi la osserva.
Bibliografia e sitografia
Camerini G. B., Volpini L., Lopez G. (2011), Manuale di valutazione delle capacità genitoriali – APS – I: Assessment of Parentale Skill-Interview, Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli Editore.
Camerini G. B., Sabatello U., Sartori G., Sergio G. (2011), La valutazione del danno psichico nell’infanzia e nell’adolescenza. Danno, pregiudizio e disabilità: aspetti clinici, medico-legali e giuridici, Milano, Giuffrè Editore.
Cismai (2017), Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri
Machina Grifeo F. (2022), Violenza sulle donne: formazione specifica sulla ‘vittimizzazione secondaria’ per avvocati e magistrati
Mastronardi V.M., Montaldo S., Deplano, E. (2018), “La violenza domestica assistita”, in Rivista di Psicopatologia Forense, Medicina Legale, Criminologia, pp. 23-37.
Masucci L. C. (2020), “Il Codice Rosso e il minore vittima di maltrattamenti assistiti. Camminando Diritto”, in Rivista di informazione Giuridica
Ordine degli Psicologi del Lazio (2012), Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno alla persona
Sabbadini L. L. (2019), Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Audizione dell’Istituto nazionale di statistica
Salerno A. (2015), “Domestic violence and pregnancy. Intimate partner violence consequences in prenatal and neonatal phases”, in Maltrattamento e Abuso all’Infanzia, June 2015, 17(2), pp. 37-54
Save the Children (2021), “Cos’è la violenza assistita e quali le conseguenze sui bambini”, in Save the Children Blog
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