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Valutazione delle competenze genitoriali in genitori transgender

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Psicologia Giuridica

Valutazione delle competenze genitoriali in genitori transgender

Michela Fanfarillo
corsista del corso di alta formazione Ruolo e Funzioni del Consulente Tecnico Psicologo in Ambito Minorile

Quando parliamo di valutazione delle competenze genitoriali non possiamo prescindere dai nuovi modelli familiari e da come la famiglia stessa è cambiata nel tempo: oggi, differentemente da ieri, una su 10 è composta da un solo nucleo familiare, la famiglia monoparentale. In termini giuridici questa modernità di fatto non sempre trova una formalizzazione adeguata nei provvedimenti in materia di Diritto di Famiglia, ancora permeati da pregiudizi, taciuti ma evidenti, legati a quello che nell’immaginario collettivo permane come significante di famiglia e dei modelli familiari.

In questi ultimi 50 anni, la famiglia è una struttura che si è evoluta, in modo veloce e multiforme, nella forma e parlarne in termini di struttura implica in sé il concetto di cambiamento costante da cui è stata attraversata e che le ha restituito oggi tante vesti diverse. Alla stessa maniera per cui in Psicoterapia della Gestalt parlare di struttura che evolve significa parlare di una forma nuova, diversa da quella originaria, che da lì emerge e nasce, ma che da quella si distacca per avere autonomia e vita propria, oggi alla classica idea di famiglia, numerosa, con un padre, una madre e una gerarchia patriarcale, se pensiamo a quelle degli anni ‘60, si sostituisce qualcosa di strutturalmente diverso.

Anche a livello giuridico i cambiamenti che hanno riguardato il sistema famiglia sono numerosi e significativi. La legge 151, del 10 maggio 1975, trasforma radicalmente il Diritto di famiglia, facendo prevalere i diritti dei figli sulla potestà genitoriale (da art. 319 a 339), fornendo le basi di una giusta equiparazione tra i coniugi, sostituendo il termine di patria potestà con quello di potestà genitoriale, per arrivare all’attuale termine di responsabilità genitoriale della legge 55 del 6 maggio 2015.

Il 20 maggio 2016 la legge Cirinnà istituisce le unioni civili, riconoscendo anche le unioni dello stesso sesso e le convivenze di fatto.

Il diritto di famiglia, ad oggi, è e rimane un cantiere aperto, un mondo vivo, in cui anche lo stesso legislatore costruisce formule dinamiche, nel senso di provvedimenti aperti che possono essere adattati o revocati ad hoc sul singolo caso. Ma se da un punto di vista legislativo e giurisprudenziale abbiamo un magma vivo, aperto ancora a definizioni, resta il fatto che la famiglia in quanto nucleo sociale rimane, in modo pregiudizievole, legata al significato di istituto, dal latino institutum, ciò che è stato stabilito, norma, ordinamento della vita privata o pubblica derivata dai costumi, e come tale soggetta a vizi di forma e di pensiero.

La legge 54 del 2006 introduce il principio di bigenitorialità, che fa decadere l’idea di genitore prevalente per sancire la responsabilità di entrambi i genitori, anche da separati.

Le prime ricerche in ambito psicologico sulle famiglie omogenitoriali in senso più lato, come possibili minacce al benessere del bambino, sono degli anni ‘70 e avevano lo scopo di verificare se le donne lesbiche potevano essere madri adeguate, mettendo a confronto figli cresciuti in contesti diversi (omosessuali, etero, e madri sole) e misurando diverse dimensioni del loro sviluppo.

Quando parliamo di genitorialità pensiamo per automatismo ad un padre di genere sessualmente maschile e una madre di genere sessualmente femminile, questo perché, sempre tornando al nostro immaginario collettivo, è più rassicurante, ma non fedelmente rappresentativo della realtà attuale. Non siamo ancora educati a pensare che se il sesso è dato dalla biologia, il genere è un costrutto socialmente costruito, seppur assegnato alla nascita. Nel panorama italiano, inoltre, nonostante la nostra legislatura sia moderna e attenta, vi è ancora una grande resistenza culturale all’idea che il ruolo materno sia incarnato da una persona di sesso maschile, ed abbiamo pochissimi studi centrati sui ruoli genitoriali a prescindere dal genere sessuale di appartenenza, creando un gap sulla letteratura scientifica in Italia.

Quando parliamo di valutazione delle competenze genitoriali non possiamo prescindere dall’evidenza clinica che il genitore in questione si trova in una posizione limite di difficoltà, che lo ha reso oggetto di valutazione del CTU o del Servizio Sociale, sebbene non siamo in grado di stabilire a prescindere, partendo da questa evidenza, quanto questa sua posizione di limite incida nello sviluppo del minore.

Nella realtà, la presenza di una causa non determina necessariamente l’effetto, ma aumenta la probabilità che esso si presenti, per cui uno dei limiti etici nella valutazione delle competenze genitoriali è dato dai nessi di causalità che usiamo, che attingono da ipotesi deterministiche, dove la causa determina l’effetto.

La valutazione delle competenze genitoriali si basa su modelli, costrutti, caratteristiche sociali, psicologiche e attitudinali, verificate nella concretezza delle singole situazioni, e il Perito ha sì autonomia scientifica e professionale per la scelta della metodologia usata, ma questa deve essere accettata e riconosciuta dalla comunità scientifica. In questo sfondo è chiaro come il gap dato dalla letteratura italiana in materia di genitori trasgender sia un limite di partenza, che nonostante la genuinità della valutazione non permette di avere una fotografia chiara di quel genitore, né della coppia genitore-figlio.

IL CASO DI UNA MADRE TRANGENDER

In un caso seguito, in cui la madre era il genitore trasgender a cui era stata sospesa la genitorialità, la difficoltà maggiore incontrata dal Servizio Sociale, a cui il giudice aveva fatto richiesta di valutazione delle competenze genitoriali, è stata in primis il superare le resistenze personali nel leggere una situazione di questo tipo e, in seconda battuta, il non riuscire a valutare in modo non discriminatorio gli aspetti reattivi e strutturali dell’incidenza della funzione genitoriale di questa madre sullo sviluppo del minore. Una connotazione reattiva di disagio si sviluppa entro un conflitto vissuto tra il minore e il suo ambiente e riguarda le forme di risposta del minore, le strategie di coping che usa per adattarsi a quella situazione, che sono attuali, contingenti, perché in rapporto alla situazione recente, questo implica che non può dare luogo a previsioni di evoluzione peggiorativa.

Nel caso specifico, di cui sopra, il focus del Servizio Sociale è stato, nei primi due anni di valutazione, sul disturbo Oppositivo-Provocatorio del minore, disturbo diagnosticato in tenera età, come se fosse il risultato dell’incidenza della funzione genitoriale sullo sviluppo del minore, non riuscendo quindi a differenziare un aspetto strutturale da quello reattivo nella valutazione della funzione genitoriale.

Solo il puntuale lavoro di equipe con i vari tecnici che seguivano il caso ha permesso il superamento di questa impasse, sciogliendo il nesso tra identità di genere della madre e disturbo strutturale del figlio, e il ripristino di una valutazione delle competenze genitoriali più genuina.

Nel valutare le competenze genitoriali, il Perito dovrebbe valutare le condotte attraverso le quali si esprime la genitorialità, come per esempio la capacità di rispondere alle esigenze primarie del figlio (igieniche, alimentari e sanitarie), o la capacità di curare l’ambiente fisico perché sia al tempo stesso stimolante e protettivo, o la capacità di fornire esperienze educative e di socializzazione, in ragione dell’età e del livello di maturazione psico affettiva del figlio. Altro aspetto con cui si esprime la genitorialità è la capacità di favorire l’autonomia, nei limiti dell’età, e il sostenere il processo di svincolo dalla famiglia d’origine. L’autonomia, ad oggi, rappresenta ancora un iter da raggiungere per quanto riguarda i genitori trasgender, e non un risultato evolutivo spontaneo, basti pensare ai vari orientamenti giurisprudenziali per quello che riguarda le questioni normative, e le modalità applicative previste dalla legge 164/82.

Con questa legge il legislatore interviene su una realtà fenomenica nota, riconoscendo al transessuale di non adempiere ad una scelta libera, ma di obbedire ad un’esigenza incoercibile, permettendo così la rettificazione di attribuzione di sesso, modificando il proprio sesso anagrafico sulla base della propria identità di genere.

La procedura di rettificazione di attribuzione di sesso, secondo questa legge, prevede 2 fasi, che terminano entrambi con sentenza: nella prima si accerta il diritto della persona, ed è introdotta dal ricorso in Tribunale, ad ottenere l’attribuzione di un sesso diverso e conseguente autorizzazione a sottoporsi al trattamento chirurgico; la seconda è invece rivolta ad accertarsi che sia intervenuta la modificazione autorizzata dal Tribunale.
Solo recentemente alcune sentenze hanno privilegiato il diritto alla salute, e la capacità delle persone di vivere in modo equilibrato la propria identità di genere, autorizzando la rettifica dei dati anagrafici senza la necessità per la persona interessata di sottoporsi ad intervento chirurgico.

Gender Recognition Act del 2004 è un atto del Parlamento del Regno Unito che permette la rettifica dei dati anagrafici, indipendentemente dall’effettuazione o meno dell’intervento. Questa legge è stata redatta in risposta alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito, l’11 giugno 2002, che l’incapacità di una persona trans di cambiare sesso sul proprio certificato di nascita fosse una violazione dei loro diritti, ai sensi dell’articolo 8 e dell’articolo12, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo

Tornando al caso riportato sopra, la madre in questione, al momento della valutazione della genitorialità, stava ancora aspettando l’autorizzazione del Tribunale alla sua richiesta di rettifica di attribuzione di sesso, autorizzazione in parte vincolata anche da questa fase peritale effettuata dal Servizio Sociale, fase in cui veniva valutata anche sulla sua capacità di favorire l’autonomia del minore, quando lei per prima non poteva averla da un punto di vista strettamente normativo, creando un paradosso strutturale.

In quest’ottica risulta evidente come la genitorialità non sia una realtà naturalmente data, ma socialmente negoziata, e la valutazione delle competenze genitoriali di genitori trasgender non possa prescindere da passaggi intermedi a livello giuridico, e da un pensiero scientifico adeguato che possa sostenere l’intero iter della valutazione delle competenze, bypassando quei gap normativi che ad oggi permangono.

Commento (1)

  1. Federica

    Articolo davvero molto interessante, tematica affrontata in modo completo ed esaustivo! Complimenti alla professionista che lo ha scritto

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