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Manifestazioni del disagio psichico per il lavoro. Burnout e i nuovi rischi Psicosociali: Covid-19 e Smartworking

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Psicologia Giuridica

Manifestazioni del disagio psichico per il lavoro. Burnout e i nuovi rischi Psicosociali: Covid-19 e Smartworking

Monica Savino
Psicologa Giuridica Forense, Psicoterapeuta

Le patologie da stress occupazionale possono essere inquadrate secondo varie modalità in relazione alle diverse noxae stressanti; in questo articolo verrà illustrata la Sindrome da Burnout.

La Sindrome da Burnout (BOS) indica un quadro sintomatico di progressivo spegnimento dell’entusiasmo e della volontà partecipativa espressa nell’ambito delle relazioni di lavoro, e una corrispondente sensazione di distacco e fallimento, con derealizzazione, disaffezione lavorativa e sviluppo di sindromi organiche e funzionali. Inizialmente tracciata in operatori di servizi comunitari (medici, infermieri, psicologi, insegnanti, assistenti sociali ecc.), definite professioni “high-touch” (a contatto continuo), nelle quali risulta implicita la connotazione di rispondere alle molteplici richieste di quanti hanno bisogno di aiuto professionalmente qualificato.

La sindrome da Burnout è l’esito patologico di un processo stressogeno legato allo stress lavorativo che incide negativamente sull’abilità adattiva della persona. 

Quando si parla di stress ci si riferisce ad un fenomeno soggettivo, in quanto ognuno percepisce e reagisce a possibili stressors, situazioni percepite potenzialmente stressanti, in maniera diversa a seconda della propria storia e della propria personalità. Dalla letteratura emerge che lo stress non è una malattia, ma una modalità fisiologica di adattamento (eustress o stress positivo) ma, in condizioni particolari, la risposta di adattamento può divenire disfunzionale, causata dall’eccessivo prolungamento di tensione, superando quindi le possibilità di compensazione del soggetto (in questo caso si parla di distress o stress negativo).

Il Burnout, quindi, può essere definito come un particolare tipo di risposta affettiva stressogena a condizioni lavorative stressanti caratterizzate, secondo le indicazioni dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute del lavoro, in due grandi categorie: 

  • quelle relative al contesto di lavoro di natura gestionale (flussi comunicativi, ruolo dell’organizzazione, interfaccia casa/lavoro, ecc);
  • quelle relative al contenuto del lavoro di natura organizzativa (ambiente di lavoro, carichi e ritmi di lavoro, ecc.).

Si tratta di un processo multifattoriale che riguarda sia i soggetti che la sfera organizzativa e quella sociale. Oggi, siamo di fronte a dei cambiamenti di natura collettiva, sanitaria e organizzativa destinati a segnare in modo determinante le relazioni, la qualità dell’esperienza di lavoro, la qualità della vita di intere generazioni. E’ necessario, dunque, uno sguardo sistemico e interrelazionale, in un’epoca così poco duttile al cambiamento, e rifondare nuovi stili di convivenza organizzativa e sociale. 

A marzo 2020, l’Italia ha dichiarato lo stato di pandemia da Coronavirus disease (Covid-19) e, ad oggi, risulta uno dei paesi maggiormente colpiti dal virus Sars-Cov2. La crisi sanitaria cui stiamo assistendo ha inciso enormemente sul carico di lavoro degli operatori sanitari, sulla loro stanchezza fisica e sul loro benessere psicologico, aumentando in maniera esponenziale i pericoli dello sviluppo di sindromi da Burnout con il rischio che molti dei professionisti sanitari abbandoneranno il lavoro.

Un altro allarme, divulgato pochissimi giorni fa dalla nota rivista statunitense Forbes, è il di-stress da Smart Working. In media la giornata lavorativa da remoto dura da una a tre ore in più, si tende a fare più riunioni e si mandano anche più mail, almeno 8 al giorno fuori dall’orario di lavoro.

Secondo Forbes questo cambiamento non è positivo neppure per i datori di lavoro: i Manager dovrebbero preoccuparsi di alcuni piccoli segnali che si possono vedere nei team anche a distanza, nelle call o nelle chat.

Il primo campanello di allarme riguarda la gestione delle chiamate e delle mail. Chi non riesce mai ad arrivare in tempo al telefono, chi non risponde alle mail o rimanda sempre una consegna è probabilmente sopraffatto dal lavoro, è esausto. Se poi la qualità del lavoro è scesa, se non si accetta di aver fatto un errore e si tende a dare la colpa agli altri, in tutta probabilità si è entrati nella prima fase del Burn out. Tutto nasce dall’incapacità di disconnettersi dal lavoro e di avere orari precisi come quando si andava in ufficio.

Richieste sanzionatorie e danni risarcibili

In conformità con la sentenza della Cassazione civile sez. lav., 05/03/2018, n.5066 riguardante la patologia psichica connessa all’attività lavorativa considerata malattia professionale indennizzabile dall’INAIL (anche se non comprese tra quelle tabellate o tra i rischi tabellati), il lavoratore deve dimostrare il nesso di causa tra la condizione lavorativa patogena e la malattia diagnosticata, considerato che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni. 

È importante comprendere la rilevanza del trauma in quanto fattore causale, nel momento in cui devono essere valutati gli effetti della costrittività lavorativa

Quale criterio utilizzare per evidenziare il nesso di causalità tra il fattore ad origine occupazionale ed il danno che ne consegue all’individuo? Dal punto di vista giuridico bisogna accertare, secondo il criterio della ragionevole certezza, il nesso di causalità tra lo stress e le patologie manifestate.

Allo stesso modo, anche nei casi di Burnout la responsabilità di conseguenze lesive per il lavoratore può essere ricondotta in capo all’azienda, sempre ai sensi dell’art. 2087 c.c., nel caso in cui risulti allegato e dimostrato che l’“esaurimento emotivo” sia stato provocato da un comportamento commissivo od omissivo del datore di lavoro.

La prima voce che normalmente  viene riconosciuta è quella del danno esistenziale o danno alla vita sociale, di relazione (rappresenta il “non fare più” o il “non aver fatto” in conseguenza degli illeciti aziendali) che la giurisprudenza considera pacificamente risarcibile in tutti i casi di disfunzionalità organizzativa non tempestivamente affrontata e risolta. Ed è evidente, infatti, che in casi di stress occupazionale tali diritti vengono fortemente lesi, non ottemperando ai principi fondamentali della Costituzione

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