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L’ABC della Psicologia Giuridica

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Psicologia Giuridica

L’ABC della Psicologia Giuridica

Carmen Muraro
Psicologa Giuridica Forense, Psicoterapeuta

È noto come la Psicologia e il Diritto sebbene si occupino, ognuna a modo suo, del comportamento umano, poggiano su assunti di base molto diversi: la Psicologia, sapere scientifico eminentemente descrittivo, è interessata “a comprendere” e a spiegare il comportamento umano, mentre il Diritto, scienza prescrittiva, si  concentra sulla sua regolamentazione attraverso principi giuridici e norme  (Quadrio, Castiglioni, 1995).

Per operare nel campo della Psicologia Giuridica è necessario che le competenze e conoscenze dello psicologo vengano “specializzate”, ovvero contestualizzate ed integrate rispetto alle caratteristiche delle categorie giuridiche interessate di volta in volta, attraverso indispensabili percorsi di formazione specialistica.

Fin dal 2003, il CNOP e, più di recente, anche diversi ordini degli psicologi regionali, si sono espressi con specifiche indicazioni e requisiti da osservare prima di assumere incarichi consulenziali o peritali, volti a favorire la cultura delle buone prassi in psicologia giuridica, al fine di evitare comportamenti professionali scorretti e deleteri per l’utente finale e per l’immagine della stessa professione psicologica.

In quest’ottica, allo psicologo è possibile utilizzare i costrutti teorici e gli strumenti propri della disciplina psicologica solo dopo un percorso formativo specialistico in psicologia giuridica, che gli consente di conoscere le leggi e di saper contestualizzare le proprie conoscenze e strumenti.

Così, per esempio, valutare le componenti psicologiche della capacità a testimoniare di un soggetto richiede non soltanto una valutazione clinica del soggetto rispetto ai fatti oggetto del procedimento, ma anche un’analisi di come tali valutazioni, nel loro complesso, interagiscono e si integrano con le dimensioni della categoria giuridica in esame, con gli effetti sul piano della risposta di giustizia, con i provvedimenti previsti dalla legge, etc.

Ben sapendo che per la Psicologia, diversamente dal Diritto, è importante il principio del dubbio conoscitivo, ovvero le sue “valutazioni” sono elaborate solo secondo criteri probabilistici anche se sviluppati secondo rigorosi criteri metodologici e teorici riconosciuti dalla comunità scientifica di riferimento e in coerenza con l’evoluzione della ricerca.

Quindi, il consulente o perito, i cui criteri scientifici e metodologici sono diversi da quelli del Diritto, anche quando svolge rispetto ad esso funzioni tecniche ed ausiliarie, deve mantenere la sua autonomia scientifica e professionale, facendo riferimento al proprio referente culturale-scientifico nell’utilizzare paradigmi teorici, metodologie e strumenti operativi.

Pertanto è necessario che il consulente o perito psicologo ponga i suoi interlocutori diretti (avvocato, giudice, cliente) nelle condizioni di comprendere il percorso che lo hanno portato alle conclusioni prospettate con un linguaggio comprensibile anche se specialistico, con l’indicazione della metodologia e delle teorie di riferimento utilizzati, con la presentazione dei protocolli dei test, etc.

Del resto una comunicazione chiara e trasparente risulta necessaria anche perché, per esempio, le conclusioni di una consulenza tecnica nel caso di un affidamento eterofamiliare di un bambino, una volta interpretate dal giudicante, possono rappresentare un progetto di base per attività di intervento affidate ai servizi sociali o ad altri professionisti.

Infine, la specificità interdisciplinare del sapere e del fare psicologico-giuridico (interdisciplinarità con il Diritto, ma anche con le altre discipline extra-giuridiche: Medicina, Medicina Legale, Psichiatria Forense, Criminologia ecc.) richiede una costante ed opportuna preparazione al confronto operativo tra le diverse professionalità coinvolte, mantenendo la consapevolezza delle specifiche e diverse competenze-prerogative professionali.

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