Blog

Ultimi Commenti

Seminfermità di mente e giudizio di comparazione (in nota a sentenza Corte Costituzionale n. 73 del 24 aprile 2020)

elijah-o-donnell-kgRpD0OA4IU-unsplash
La parola all'Avvocato

Seminfermità di mente e giudizio di comparazione (in nota a sentenza Corte Costituzionale n. 73 del 24 aprile 2020)

Roberto D’Amico
Avvocato del Foro di Roma,Cassazionista, pubblicista e ricercatore universitario

1. La vicenda processuale

La Corte Costituzionale, con la sentenza emarginata, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod.pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. sollevata dal Tribunale Ordinario di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3 , 27, primo e terzo comma, 32 della Costituzione.

Il giudice rimettente era chiamato a giudicare, con rito abbreviato, due imputati di furto aggravato in concorso già attinti da precedenti specifici per reati contro il patrimonio commessi in epoca recente ed ai quali veniva quindi contestata la recidiva specifica ed infraquinquennale.

Ambedue i prevenuti, in seguito alla perizia psichiatrica disposta dal giudice , risultavano affetti da un’infermità mentale tale da scemare grandemente la loro capacità di intendere e di volere. In particolare,  essendo state riscontrate, per l’uno, “un importante sbilanciamento depressivo dell’asse affettivo e la presenza di tratti personologici marcatamente disarmonici “oltre a “severe disarmonie dell’organizzazione fondamentale della personalità” tali da “far assumere una connotazione disforica alla sofferenza affettiva facilitante l’emergere di condotte regressive finalizzate all’ottenimento di immediata gratificazione e prive dell’adeguata valutazione del rischio sotteso , in un quadro di depressione persistente”; per l’altro, “un disturbo della personalità con tratti misti del primo e del secondo raggruppamento con particolare rilevanza dei tratti schizotipico, narcisistico, istrionico e antisociale” oltre a “povertà dell’empatia e insistita convinzione di essere meritevole di particolare considerazione”.

2. Il concetto giuridico di infermità mentale 

Regolato dagli artt. 88 e 89 cod. pen. il “vizio di mente” è considerato lo stato mentale, derivante da infermità, che esclude o diminuisce la capacità di intendere o di volere.

Si tratta, dunque, di uno stato patologico ( morboso ) non necessariamente permanente che turba l’equilibrio funzionale dell’organismo.

Più precisamente , senza presunzione di completezza , giacché la nozione secondo la dogmatica penalistica appare impossibile da ricondurre a definizione unitaria in quanto plurifattoriale , l’incapacità di intendere si riscontra, ad esempio, nei casi di follia intellettiva o delle idee, dalle forme più gravi della demenza, idiozia, cretinismo ed imbecillità a quelle forme morbose di confusione mentale nelle quali la funzionalità (della mente) è comunque influenzata dall’aberrazione delirante.

Per incapacità di volere, per converso e sempre a titolo esemplare certamente non esaustivo, si intendono quelle forme patologiche in cui l’intelletto funziona regolarmente ma il soggetto non appare in grado di agire secondo ragione , essendo schiavo di motivi irresistibili, come nel caso della cleptomania, piromania, ecc.

Il vizio si presenta in gradi diversi: è totale, quando lo stato di mente è tale da escludere la “capacità di intendere o di volere” ; è parziale, allorché questa capacità è semplicemente diminuita o “grandemente scemata” : in quest’ultima ipotesi deve aversi riguardo ad uno stato patologico veramente serio, come ammonisce la Relazione al Progetto definitivo, e non ad una semplice bizzarria del temperamento e del carattere o nervosismo.

La giurisprudenza ( su tutte, Cass. Sezioni Unite, 25 gennaio 2005 n. 9163 ) afferma che anche i “disturbi antisociali della personalità” possono avere incidenza sulla capacità di intendere e di volere purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente su detta capacità, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale.

2.1. Il vizio parziale di mente

Nel caso giudiziario oggetto del presente scrutinio le patologie riscontrate, secondo il perito, pur non apparendo totalmente destrutturanti così da giustificare un giudizio medico -legale  di totale abolizione della capacità di intendere e di volere, finiscono per incidere specialmente su quelle parti del funzionamento mentale che vengono definite “ esecutive” come …la capacità di programmazione, valutazione, valutazione inferenziale, criteri di appropriatezza e di opportunità, pesatura del rischio anche rispetto all’utile personale”.

La differenziazione tra l’ipotesi prevista all’art. 89 cod. pen. ( vizio parziale di mente ) rispetto a quella di cui all’art. 88 cod. pen. ( vizio totale di mente ) è data, unicamente, dal criterio quantitativo incidente sulle capacità del soggetto. L’avverbio “grandemente” usato nella lettera della legge evidenzia la necessità che la detta infermità sia tale da ridurre notevolmente, pur senza escluderla del tutto, la capacità di intendere e di volere.

3. La recidiva o “condotta recidivata” nella commissione del reato

In senso letterale , “recidiva” deve intendersi sinonimo di “ricaduta”. Individua, infatti, la condizione personale di “chi, dopo esser stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro…”.

L’art. 99 del codice penale, profondamente riformulato con la Legge 5 dicembre 2005, n. 251 ( c.d. legge “ex Cirielli” ) individua quattro forme di recidiva : a) semplice, per la quale è sufficiente la commissione di un delitto non colposo dopo la condanna per un altro delitto non colposo ; b) aggravata, quando il reato è della stessa indole del precedente giudiziario (recidiva specifica ) o è stato commesso nei cinque anni precedenti (recidiva infraquinquennale) oppure il reato è stato posto in essere durante o dopo l’esecuzione della pena ( recidiva vera ) o ancora  durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena ( recidiva finta )  ; c) pluriaggravata, quando concorrono più circostanze tra quelle dinanzi elencate; d) reiterata, che si verifica quando il nuovo delitto non colposo è commesso da chi è già recidivo.

La giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità, ha da tempo chiarito che l’applicazione dell’istituto della recidiva in tanto si giustifica in quanto il nuovo delitto  , commesso da chi sia stato già condannato per precedenti delitti non colposi , sia espressivo non solo di una maggiore pericolosità criminale , ma anche di un maggior grado di colpevolezza legato alla maggiore rimproverabilità della decisione di violare la legge penale nonostante l’ammonimento individuale derivante dalle precedenti condanne ( ex multis ,  Corte Cost.  sentenza n. 192 del 2007 ) nonché  ( ex plurimis , Cass. SS. UU.  27 maggio – 5 ottobre 2010, n. 35738 ).

Nel caso che qui occupa , ad entrambi gli imputati risultano iscritti plurimi precedenti specifici, alcuni dei quali intervenuti anche in epoca relativamente recente e, comunque, nel quinquiennio precedente. Nei confronti di entrambi, peraltro, è già stata riconosciuta la recidiva (reiterata) ed applicato il relativo aumento di pena.

4. Il giudizio di comparazione o di bilanciamento tra le circostanze

Il concorso eterogeneo di circostanze ovvero il caso in cui ad un fatto reato accedano tanto circostanze aggravanti che circostanze attenuanti è disciplinato dall’art. 69 cod. pen. mediante il quale viene operato il c.d. giudizio di comparazione o bilanciamento per la valutazione sulla prevalenza dell’una sull’altra ovvero sull’equivalenza tra le medesime.

L’istituto trova la sua ratio nel dichiarato intento di consentire al giudice di avere una visione organica e completa del colpevole e del reato commesso in modo da giungere all’applicazione , in concreto , di una pena quanto più possibile aderente alla personalità del reo ed alla gravità del reato e non risolversi in mera operazione matematica ( così ,la Relazione ministeriale sul progetto di codice penale , 1929 , vol. I , 123 ).

5. Le modifiche introdotte dalla  Legge 5 dicembre 2005, n. 251

Al fine di contenere gli spazi di discrezionalità giudiziale nell’irrogazione delle pene , medio tempore ulteriormente ampliati dal d.l. n. 99 del 1974  ( convertito nella Legge 7 giugno 1974 , n. 220 ) la legge che titola il paragrafo denominata ex Cirielli , modificando la norma , al fine di arginare effetti distorsivi ed incontrollabili , ha introdotto , al quarto comma dell’art. 69 cod. pen.,  il divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante , inclusa la diminuente del vizio parziale di mente , nell’ipotesi – tra l’altro – di recidiva reiterata e , quindi , assolutamente precludendo al giudice l’applicazione , in tali evenienze , della diminuzione di pena.

Dal dibattito giurisprudenziale scaturente da tale revirement  da parte del legislatore , è emerso come in tema di concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti , il divieto previsto dal’art. 69 , comma quarto , cod. pen. a seguito delle modifiche introdotte con la Legge 5 dicembre 2005 , n. 251 , certamente sfavorevole per il reo debba intendersi in modo generale ed assoluto (Cass. III , 25 settembre 2008 , n. 45065 ).

La Corte Costituzionale , dal canto suo , ha più volte affermato come le deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze siano costituzionalmente ammissibili e rientrino tra le scelte discrezionali del legislatore purché non “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio”.

6. I precedenti interventi abrogativi del Giudice delle Leggi

Va detto, perché di palmare evidenza, come il legislatore del 2005 , nel testo risultante dalla legge n. 251 , sia stato oggetto di numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale che hanno finito , da un lato , per svuotare in parte qua di contenuto  la “ex Cirielli” , dall’altro , per ripristinare il potere discrezionale del giudice di ritenere prevalenti , rispetto alla recidiva reiterata varie circostante attenuanti espressamente individuate dall’art. 69 , quarto comma , cod. pen. tutte particolarmente significative ai fini della determinazione , in concreto , della gravità del reato.

Lo ha fatto, per lo più, evidenziando il minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva ( così , la “lieve entità” nel delitto di produzione e traffico di sostanze stupefacenti – Corte Cost. sentenza n. 251 del 2012 ; i casi di “particolare tenuità” nel delitto di ricettazione – Corte Cost. sentenza n. 105 del 2014 ; i casi di “minore gravità” nel delitto di violenza sessuale – Corte Cost. sentenza n. 106 del 2014 ; il “danno patrimoniale di speciale tenuità” nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito – Corte Cost. sentenza n. 205 del 2017 ) ovvero , in un altro caso , mirando a premiare l’imputato per la collaborazione prestata post delictum – Corte Cost. sentenza n. 74 del 2016.

7. La sentenza n. 73 del 24 aprile 2020

La pronuncia in rassegna fa riferimento ai paradigmi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 , primo e terzo comma ,  della Costituzione ed ha riguardo , dal lato soggettivo , ad una circostanza attenuante ( la seminfermità mentale ) concernente la ridotta rimproverabilità dell’autore  derivante dal minor grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e minor capacità di controllo dei propri impulsi di cui all’art. 89 cod. pen. e non , sul piano oggettivo ,  la minore offensività del fatto ovvero la finalità premiale post delictum.

La collocazione su piani diversi esige un’ulteriore precisazione.

La presenza di fattori influenti sul processo motivazionale , quali le patologie e disturbi significativi della personalità come cristallizzati nell’indagine peritale e stimati dalla scienza medico – forense come idonei a “scemare grandemente” la capacità di intendere e di volere dei soggetti ,secondo il principio di proporzionalità della pena espresso dagli artt. 3 e 27 , terzo comma , Cost. , impone , a parità di disvalore oggettivo del fatto , l’applicazione di una sanzione criminale calibrata , meno severa rispetto a chi si sia determinato a compiere una condotta identica in condizioni di normalità psichica.

Il divieto di prevalenza stride , dunque , con gli equilibri costituzionalmente imposti affinchè il sacrificio penale imposto con la sanzione – pena appaia proporzionato ed individualizzato in attuazione al precetto di cui all’art. 27 , primo comma , Cost.

Del resto, il diritto positivo consente,  altrimenti dai connotati punitivi della pena in concreto irrogata,  la soddisfazione degli interessi collettivi di “sicurezza sociale” mediante l’applicazione di una misura di sicurezza , individuata secondo i criteri di legge ( Legge 17 febbraio 2012 n. 9 ) la cui finalità ulteriore è rappresentata da adeguati trattamenti delle patologie o disturbi sofferti e riadattamento alla vita sociale del condannato.

Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

 

Lascia un tuo commento all'articolo

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *