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Processo penale telematico, una questione terminologica

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La parola all'Avvocato

Processo penale telematico, una questione terminologica

Roberto D’Amico
Avvocato del Foro di Roma, Cassazionista, pubblicista e ricercatore universitario

Il legislatore dell’emergenza con l’art. 83, comma 12 – quater 1 del decreto legge 17 marzo 2020 n. 27 convertito nella legge 24 aprile 2020 n. 27 ed ulteriormente modificato dall’art. 3 comma 2 lettera f) del decreto legge 30 aprile 2020 n. 28 ha introdotto la possibilità per i difensori di depositare memorie ed istanze al Pubblico Ministero che abbia concluso le indagini preliminari.

Con successivo decreto ministeriale 9 giugno 2020, pubblicato in G.U. n. 147 del 11 giugno 2020, ha quindi accertato la funzionalità dei servizi di comunicazione e deposito dell’Ufficio richiedente (la Procura della Repubblica di Napoli) che in tal senso ha assunto, dunque, sul territorio nazionale, la funzione di “Ufficio pilota”.

Senza voler nemmeno discutere, in senso oggettivo e tantomeno soggettivo la bona fides del provvedimento in esame, la semplicistica imprecisione giornalistica che da titolo al presente commento,  finisce per rappresentare in verità una inaccettabile contradictio in adiecto.

In tanto, per la definizione impropria o atecnica di “processo” attribuita alla fase delle indagini preliminari ovvero ad una fase del “procedimento” penale (avviso di chiusura indagini ex art. 415 bis c.p.p.) in cui ancora non si è determinata la volontà del Pubblico Ministero di archiviare o sottoporre a giudizio una data questione di rilevanza penale. Ed infatti, le possibilità per la difesa, nel termine di venti giorni,  di depositare memorie difensive e documentazione relativa ad investigazioni proprie, richiedere il compimento di atti di indagini o di consentire all’indagato il rilascio di dichiarazioni o richiedere l’interrogatorio come indicate dall’art. 415 bis comma 3 c.p.p. rappresenta la mera cornice di “dialogo” consentita al difensore per favorire, nei confronti del proprio assistito, la richiesta di archiviazione (art. 408 c.p.p.) e scongiurare l’esercizio dell’azione penale da parte dell’Ufficio di Procura (art. 405 c.p.p.) .

Dunque, appare più consono il riferimento al “procedimento penale telematico” per la corretta collocazione sistematica delle facoltà introdotte dalla novella. Con l’augurio, de iure condendo, che si tratti di una “svista” e non di un radicale mutamento di rotta nella trattazione dei processi.

Prescindendo dalle problematiche lessicali, infatti, se è ben vero che l’ausilio di strumenti informatici di tecnologia avanzata contribuirà a rendere più celeri e meno onerosi i suddetti adempimenti in ambito “procedimento”, non possono sottacersi i limiti dell’informatica giuridica applicati al “processo” penale .

Il pensiero umano, come recita una notissima canzone, “…è come l’Oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare…” (L. Dalla , Come è profondo il Mare) e non può essere sostituito nel momento creativo.

La telematica che, come noto, “è una disciplina scientifico-tecnologica che nasce dalla necessità di unificare tra loro metodologie e tecniche dell’informatica e delle telecomunicazioni per integrare i sistemi di elaborazione e trasmissione a distanza delle informazioni” (Wikipedia)   ha precisi limiti rappresentati : 1) dal carattere esclusivamente meccanico razionale a cui deve essere ridotto il dato giuridico; 2) dal carattere tipicamente linguistico – formale, vuoto di contenuti concreti; 3) dal carattere essenzialmente ripetitivo.

Il giusto processo penale come costituzionalmente presidiato è soprattutto pubblico giacchè “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e non appare conciliabile con le forme di trattazione “a distanza” già introdotte nella cause civili dal legislatore dell’emergenza. Gli operatori del diritto processuale penale ben conoscono le difficoltà  di coniugare moralmente la “verità storica” a quella “processuale” .

A parer mio, sarà difficile accettare che possa anche solo da lontano palesarsi, quale esito processuale, una terza ed indesiderata “verità virtuale”.

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