La liquidazione giudiziale del compenso al Consulente / Perito psicologo. Una questione irrisolta
29/07/2020 2022-06-15 14:07La liquidazione giudiziale del compenso al Consulente / Perito psicologo. Una questione irrisolta

La liquidazione giudiziale del compenso al Consulente / Perito psicologo. Una questione irrisolta
Roberto D’Amico
Cassazionista, pubblicista e ricercatore universitari
La prestazione professionale dello psicologo Consulente Tecnico d’Ufficio, dal lato economico, trova raramente adeguata soddisfazione. L’attuale paradigma normativo di riferimento, infatti, nel determinare la misura del compenso , appare scarsamente allineato ai desiderata degli ausiliari prestatori.
L’art. 49 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 disciplina le voci di calcolo in relazione all’opera prestata, suddividendole in: onorari (fissi , variabili ed a tempo), indennità di viaggio e di soggiorno, rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico.
La misura del compenso è però determinata in ragione del D.M. 30 maggio 2002, una sorta di “decreto di organizzazione” mediante il quale è regolamentato il quantum dovuto giudizialmente.
Concretamente e davvero in modo succinto:
a) l’onorario fisso è rappresentato da un importo stabilito dalla legge ed invariabile;
b) gli onorari variabili sono di due tipi e, quindi, b1) variabili tra un minimo ed massimo previsto dalla legge ovvero b2) a percentuale computati a scaglioni sul valore della controversia;
c) gli onorari a tempo sono invece quelli in cui la liquidazione è commisurata al tempo astrattamente necessario al compimento dell’incarico in base ad una unità di misura denominata “vacazione” convenzionalmente stabilita in “due ore” di lavoro .
In ambito sanitario e nel corso degli anni si è ripetutamente manifestata tramite opposizione al decreto di liquidazione l’insufficienza dei su indicati modelli di calcolo giudiziale per la liquidazione dei compensi. Le voci di protesta levatesi hanno determinato in ambito istituzionale l’esigenza di rivedere i criteri adottabili ed hanno condotto, visto il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità e quello del Consiglio di Stato in sede Consultiva, alla pubblicazione del “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate (medici veterinari , farmacisti , psicologi , infermieri , ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica)“ adottato con Decreto Ministero della Salute 19 luglio 2016, n. 165 e pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 38L alla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2016.
L’ art. 2 dispone come “in caso di liquidazione da parte dell’organo giurisdizionale, i compensi da corrispondere alle categorie di cui all’articolo 1 (medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica) sono determinati secondo i parametri specifici indicati dall’articolo 3….omissis.”
Tali parametri nell’articolo 3 sono rappresentati dal: a) costo del lavoro – a1) costo del personale tecnico, a2) costo medio del professionista -, b) costo della tecnologia sanitaria comprensivo dell’ammortamento delle attrezzature, c) consumi, d) costi generali (segreteria, affitto, utenze, assicurazioni, ecc…), e) margine atteso ( rischio imprenditoriale, complessità del caso…).
Come strutturati, all’evidenza, i criteri dettati dal Decreto Ministero della Salute del 2016 appaiono meno rigidamente posti rispetto a quelli indicati dal Decreto Ministero della Giustizia 30 maggio 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 2002 e, tutto sommato, ben più rispettosi della complessità di beni e servizi organizzati propri dell’attività professionale svolta con l’adempimento dell’incarico.
Allo stato, dunque si assiste ad una sovrapposizione di regolamenti ministeriali in materia adottati non soltanto, come a prima percezione, in epoche diverse e da governi diversi ma, soprattutto, da diverse competenze ministeriali (Ministero della Giustizia nel 2002, Ministero della Salute nel 2016) che non si conformano tra di loro. Ne consegue che il secondo regolamento (quello del 2016) può solo aggiungersi al regolamento del 2002 ma non può certo sostituirsi ad esso, che non potrebbe, visto il divieto posto dall’art. 4, comma secondo, disp. Prel. Cod. civ.
La qualcosa genera confusione e disparità nell’applicazione giudiziale.
O forse no.
Che il Decreto Ministeriale del 2016, all’art. 1, riferendosi al proprio ambito di applicazione recita ”…il presente regolamento…detta le disposizioni… e non comporta modifiche alla competenze attribuite dalle normative vigenti a tali figure”. Laddove il termine “competenze” lessicalmente può esser inteso: 1) nella piena capacità di orientarsi in un determinato campo (di tali figure); 2) nella legittimazione normativa di un’autorità o di un organo a svolgere determinate funzioni (di tali figure); 3) nella spettanza, intesa come pertinenza (dei compensi attribuibili a tali figure). Escludendo sia la prima che la seconda colorazione lessicale, perché non avrebbero alcun senso compiuto, il riferimento contabile appare l’unico plausibile, secondo il criterio interpretativo dettato dal significato proprio delle parole e dalla connessione di esse di cui all’ art. 12 disp. Prel. Cod. civ.
Il decreto ministeriale del 2016 aggiunge ma non modifica come l’interpretazione autentica fornita all’art. 1 insegna.
Se il C.T.U. è “l’occhiale” del giudice nel senso che normalmente, assistendo il giudice, fornisce ad esso la regola tecnica di giudizio a lui ignota in base alla quale valutare i fatti accertati, un tale aggravamento della “miopia” appare congenito e difficilmente rimediale anche con l’ausilio di qualsivoglia “protesi” .
Buongiorno mi scuso per l'invio errato del messaggio precedente che ho letto erroneamente rivolto a me non essendo avvezza al…