Un soggetto può essere per legge ritenuto imputabile, e quindi punito per un reato se, al momento in cui lo ha commesso, era capace di intendere e di volere.
Ovvero, se, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in grado di autodeterminarsi liberamente e autonomamente, e se era capace di comprendere il significato del proprio comportamento e delle conseguenze che quest’ultimo poteva avere sulla realtà esterna.
La pericolosità sociale viene invece valutata in base alla probabilità che una persona che abbia commesso un reato, anche se non imputabile e non punibile, possa, in futuro, rendersi responsabile di nuovi reati e recidive.
Il nostro ordinamento prevede quindi misure di sicurezza per la collettività, anche nelle circostanze in cui una persona sia considerata non imputabile.
L’art. 85 c.p (Capacità d’intendere e di volere) stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”. L’articolo in questione definisce, inoltre, che imputabile è colui o colei che ha la capacità di intendere e di volere. La capacità di intendere è l’abilità, posseduta dal soggetto al momento del fatto, di riconoscere e comprendere il valore sociale delle proprie azioni. La capacità di volere, invece, si riferisce all’idoneità del soggetto, al momento del fatto, di autodeterminarsi, ossia di controllare i propri impulsi e stimoli ad agire.
La pericolosità sociale è definita dall’art. 203 c.p. In base a ciò, è socialmente pericolosa la persona che, pur essendo non imputabile o non punibile, “è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”. La sussistenza della pericolosità sociale del reo occorre per l’applicazione delle misure di sicurezza previste dalla legge.
Sia l’imputabilità sia la pericolosità sociale del reo devo essere valutate attraverso la consulenza tecnica psico-forense.